sabato 16 luglio 2016
Ora il Sultano è più forte
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Qualcuno nell’opposizione parla di “autogolpe”, il nemico storico Fethullah Gülen (il predicatore in esilio da anni negli Stati Uniti) nega ogni coinvolgimento e tutte le cancellerie si sono affrettate ad esprimere sostegno al “processo democratico”. Di fatto però Recep Tayyip Erdogan sembra uscire rafforzato dalla più lunga notte della recente storia della Turchia.Dimenticate le sollevazioni armate di oltre 35 anni fa, depurati dal “sultano” i vertici di esercito e polizia, il Paese è ora meno immunizzato da quei germi “laici” che stanno a fondamento della Costituzione voluta dal padre della patria Atatürk. E su questo Erdogan ha fatto subito leva mentre si diffondevano voci di decolli e atterraggi negati in mezza Europa all’aereo presidenziale. Alla fine ha chiamato a raccolta il popolo, quello che lo ha fatto vincere per due volte consecutive in pochi mesi e che gli ha firmato una cambiale in bianco per una “islamizzazione” strisciante della società. O con me o sarà la guerra civile è stato il messaggio lanciato da uno smartphone attraverso la Cnn turca, mentre i golpisti controllavano la tv di Stato. Poi con il passare delle ore il livello dell’acqua è sceso, sono continuate le sparatorie e alla fine si sono contati duecento morti, settecento arresti e i vertici intermedi dei militari (quelli finora non toccati dalle epurazioni) rinchiusi nelle carceri. Tutto finito? Non sembrerebbe così. La vendetta si consuma calda, tiepida e anche fredda. Immediatamente le manette, nel breve periodo un ulteriore giro di vite su media, oppositori, curdi e forze dell’ordine “infedeli”. E, tra qualche settimana, l’uomo che si è costruito una reggia degna di chi lo aveva preceduto sulle sponde del Bosforo farà i conti con chi sperava nella sua caduta o con chi non ha fatto nulla per impedirla.La “pace” con Mosca appena siglata, forse, reggerà. I rapporti già gelidi con gli Usa andranno forse incontro a un inverno ancora più rigido. Ma è nella partita alle porte di casa che si riverbererà la rabbia: soprattutto in Siria, nei rapporti con il “riappacificato” Israele e con l’Egitto dell’altro uomo egemone della regione: il generale al-Sissi.Qualcuno nelle ore scorse aveva sperato in una soluzione possibile del dilemma siriano, le aperture (poi frenate) nei confronti del regime di Damasco dei giorni scorsi potevano far presagire qualcosa di positivo poi raggelato dal golpe di venerdì. Di fatto la situazione è “fluida”. Con poche certezze. Anzi una: Erdogan è ancora in sella, più saldo di prima. E l’Europa, alle prese con le sue crisi intestine, dovrà farci, ora sempre più, i conti.
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