giovedì 2 settembre 2021
La nuova normativa impedisce l’interruzione quando sia percettibile il battito cardiaco fetale. La Corte Suprema non ha bloccato la misura varato dallo Stato
La Corte Suprema Usa

La Corte Suprema Usa - Ansa

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Entra nel vivo, negli Stati Uniti, la battaglia legale sull’aborto, che dovrebbe culminare la prossima primavera quando la Corte Suprema riconsidererà la sua costituzionalità. Il rifiuto del tribunale di accettare una richiesta di bloccare una legge statale ha permesso al Texas di mettere al bando quasi tutte le interruzioni di gravidanza.

La misura dello Stato repubblicano è entrata in vigore ieri, e rende un crimine abortire una volta che il battito cardiaco fetale sia percettibile. Questo avviene di solito attorno alle sei settimane di gestazione.

Il “Senate Bill 8” – il cui testo non fa eccezioni per le gravidanze derivanti da incesto o stupro – alimenterà sicuramente il dibattito sul futuro di “Roe v. Wade”, la sentenza del 1973 che ha stabilito il «diritto costituzionale» all’aborto. Finora, i precedenti pronunciamenti della Corte Suprema hanno proibito agli Stati di impedire l’aborto prima del momento in cui i feti possono sopravvivere al di fuori dell’utero, a circa 22-24 settimane. Ma la legge del Texas è sfuggita ai ricorsi grazie a una formulazione particolare. Non chiede ai funzionari statali di applicarla, ma delega i privati cittadini a citare in giudizio chiunque esegua la procedura o «ne sia complice». Se la paziente non è, dunque, perseguibile, lo sono i medici, il personale delle cliniche, che aiuta a pagare la procedura, persino i taxisti che portano un paziente in clinica.

I querelanti non devono necessariamente avere un legame con la questione e hanno diritto a 10mila dollari e al rimborso delle spese legali se vincono la causa. Nel suo prossimo mandato, che inizierà a ottobre, la Corte Suprema dovrà già decidere se “Roe v. Wade” giustifica la cassazione di una legge del Mississippi che vieta l’aborto dopo 15 settimane o se deve, invece, essere annullata.

La mossa del Texas può dunque essere vista come una sfida ulteriore lanciata dai legislatori statali repubblicani contro la legalità dell’aborto a livello federale. A sua volta, il silenzio della Corte sui ricorsi indetti nei confronti del Texas, il primo Stato Usa a vietare l’aborto così presto in gravidanza, sembra indicare una volontà del massimo tribunale Usa a prendere di petto la questione aborto. I nove togati (sei nominati da presidenti conservatori e sei da liberal) avevano evitato il tema infuocato nel 2020, anno elettorale, e avevano limitato al massimo i casi che lo toccavano durante la pandemia. Ora, invece, hanno accettato di decidere se continuare a regolare l’interruzione di gravidanza a livello federale o se lasciare la materia alla discrezione dei singoli Stati.

A prova che il dibattito resta politicamente divisivo, ieri Joe Biden, un cattolico praticante che sostiene di considerare sacro, a livello personale, il diritto alla vita, si è espresso con forza contro la legge del Texas. «Questa misura estrema viola apertamente il diritto costituzionale stabilito da “Roe v. Wade” e confermato per quasi mezzo secolo», ha detto il presidente. Il provvedimento, prosegue, «riduce significativamente l’accesso delle donne alle cure sanitarie di cui hanno bisogno, particolarmente per le comunità di colore e di basso reddito. E, oltraggiosamente, impone ai privati cittadini di fare causa a chiunque credano abbia aiutato un’altra persona a praticare l’aborto». Il democratico ha poi ribadito l’impegno della sua Amministrazione a proteggere il “diritto all’aborto”.

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