giovedì 1 febbraio 2024
La religiosa è rimasta con 650 sfollati. Quando Internet funziona, si collega con il Papa. L’area è in macerie. L’esercito vorrebbe si spostassero da lì: «Ci chiedono di fare una pazzia»
Suor Nabila tra le macerie della sua scuola

Suor Nabila tra le macerie della sua scuola - Rosary Sister School - Gaza

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«Manca tutto, non c’è rimasto più niente. Se non arriva la tregua entro domenica, la gente comincerà a morire di fame, di malattie». Suor Nabila Saleh lo ha detto al Papa, con cui si collega appena può nei rari momenti di connessione funzionante, pur se sempre disturbata. Da più di cento giorni al pontefice racconta come stanno i 650 sfollati riparati e intrappolati proma tra le rovine della “Rosary Sister School”, nel Nord di Gaza e poco dopo nella parrochia di Gaza. Gli aiuti che arrivano dal sud non bastano. Prima del conflitto entravano a Gaza 500 tir al giorno. Ieri dopo giorni di boicottaggio violento da parte degli estremisti israeliani, ne sono stati fatti passare 100, ma da Sud. E nell’area settentrionale della Striscia le strade sono campi minati, sbarrate dagli edifici in rovina, dai bombardamenti e dagli scontri ravvicinati. «Abbiamo finito anche l’acqua potabile - continua suor Nabila, che non chiede solo aiuto, ma anche di pregare perché si smetta di sparare -. Quando c’è la pace ci sono anche la giustizia e i diritti umani».

L’ingresso della scuola prima della guerra

L’ingresso della scuola prima della guerra - Rosary Sister School - Gaza

L’ingresso della scuola come appare adesso

L’ingresso della scuola come appare adesso - Rosary Sister School - Gaza

Nel Nord le spedizioni con i beni di prima necessità sono un miraggio, ma l’esercito israeliano continua a insistere perché anche i 630 rifugiati tra le macerie della scuola cattolica, intraprendano a piedi i 30 chilometri più pericolosi del mondo. «La guerra è una pazzia, e quello che ci chiedono di fare è una pazzia», dice suor Nabila che riusciamo a contattare per pochi minuti al giorno, a volte di notte, tra frasi interrotte, raffiche in lontananza, e lei che non si spazientisce e vuole far sapere. Perché suor Nabila Saleh, preside di una scuola che aveva oltre 1200 alunni e in buona parte musulmani, non può cedere alla paura e spaventare ancor di più le famiglie che guardano a lei per non perdere ogni residua speranza. Abbiamo trovato un modo per comunicare, notte e giorno, appena la connessione lo consente. Pochi secondi, e arriva una testimonianza, o un breve filmato, qualche foto. Mostrano com’era la scuola prima del 7 ottobre, e come lentamente ma inesorabilmente viene bersagliata quasi ogni giorno.

Una classe nei giorni precedenti al conflitto

Una classe nei giorni precedenti al conflitto - Rosary Sister School - Gaza

Come appare oggi una delle aule della scuola superiore

Come appare oggi una delle aule della scuola superiore - Rosary Sister School - Gaza

Una delle aule per bambini piccoli distrutta dalle esplosioni

Una delle aule per bambini piccoli distrutta dalle esplosioni - Rosary Sister School - Gaza

Da Gerusalemme dicono di avere avuto un occhio di riguardo per le strutture religiose. «Era la scuola più bella di tutta Gaza, ce lo dicevano tutti», ricorda suor Nabila con quell’orgoglio che viene da anni di sacrifici, donazioni, progetti da realizzare. Ogni giorno centinaia di alunni, le loro famiglie, i centri studi, la biblioteca più apprezzata, le aule più confortevoli, gli spazi comuni più ordinati. La bellezza come cura e come promessa: «Per tornare come prima ci vorranno almeno dieci anni», ammette con sconforto la religiosa. Si farà prima a demolire, radere al suolo, completando l’opera dei guastatori. E poi ricominciare daccapo. Perché da salvare c’è poco, e da restaurare ormai nulla.


La verità l’ha scritta un soldato israeliano durante una delle irruzioni nell’istituto religioso, cercando gli jihadisti che lì non hanno mai messo piede. I commando se ne sono andati a mani vuote. Poi sono arrivate altre bombe. Prima, però, uno dei militari ha preso da terra un pennarello scuro, di quelli usati per scrivere sulle lavagne. Ha voluto dire la sua in inglese, su una parete: «Hamas is responsible. You pay the price!». La guerra di Gaza spiegata in sei parole: «Hamas è responsabile. Pagate le conseguenze!».

Nelle comunicazioni ufficiali delle autorità israeliane si fa generico riferimento alla «parrocchia di Gaza», dove il 17 dicembre due catechiste sono state uccise dai cecchini dell’esercito occupante. Parrocchia che sempre secondo i militari sarebbe stata salvaguardata dai combattimenti più pesanti. Ma a meno di 3 chilometri, sempre a Gaza City, si trova però la scuola delle Suore del Rosario, costruita su un terreno donato dall’allora presidente palestinese Arafat, in segno di riconoscenza dopo che aveva inviato la figlia a studiare dalla suore, e avrebbe voluto che il maggior numero possibile di bambini palestinesi potesse beneficiare del modello educativo delle scuole di ispirazione cattolica. Un modo anche per dissinnescare i fanatismi e tenere alla larga dai fondamentalisti i più giovani. La vera lotta ad Hamas fatta ogni giorno con l’educazione.

La contabilità ufficiale dei lutti omette la maggioranza degli altri morti in luoghi della comunità cristiana. I bombardamenti deliberati contro l’Istituto nei primi giorni di guerra hanno fatto 25 morti e numerosi feriti. «Abbiamo tra di noi persone che hanno ancora le schegge in corpo. Le curiamo come possiamo - racconta suor Nabila - ma le ambulanze non possono arrivare, gli ospedali sono stati distrutti, e non sappiamo dove portarli». Qualche giorno fa sono stati lanciati da un aereo israeliano su quella che era la piazza della scuola e ora è nient’altro che un ammasso di macerie e ferraglia, alcuni lotti di medicinali per cure d’emergenza.

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Ma perché colpire così brutalmente un luogo nel quale, per ammissione degli stessi esponenti israeliani, non c’è mai stata traccia di estremismo né di infiltrazioni di Hamas? Possibile che si possa sospettare che perfino le suore con il sari di Madre Teresa di Calcutta e quelle del Verbo Incarnato siano un pericolo per la sicurezza di Israele? «Quando abbiamo chiesto il perché, ci hanno risposto che fuori dal nostro perimetro c’era una postazione militare di Hamas».

Le immagini mostrano come le deflagrazioni che hanno distrutto gli edifici non sono sempre state un “effetto collaterale”. I crateri sul piazzale, le pareti sfondate dall’artiglieria, lo sciame di schegge che ha travolto le lavagne elettroniche, le cattedre, i banchi di scuola, non provenivano da lontano. Ogni volta che viene contestata la sproporzionata entità dei danni, le Forze di Difesa Israeliane rispondono che a essere presi di mira sono sia i combattenti di Hamas che le "infrastrutture terroristiche". Ma a confermare le notizie riferite anche ad Avvenire in queste settimane dai testimoni oculari a Gaza è arrivato anche un dossier pubblicato ieri dalla Bbc. L’analisi dei dati satellitari ottenuti dai giornalisti britannici mostra la reale portata della distruzione. Lo studio di “Bbc Verify” suggerisce che tra i 144.000 e i 175.000 edifici in tutta la Striscia di Gaza sono stati danneggiati o distrutti. Si tratta di una percentuale compresa tra il 50% e il 61% delle costruzioni. La trasformazione più recente osservata attraverso i satelliti è la proliferazione di tende e altre strutture temporanee per ospitare gli sfollati nel sud. Tra l'inizio di dicembre e la metà di gennaio - riferisce la Bbc - vicino al confine egiziano i campi degli sfollati coprivano circa 3,5 km quadrati, equivalenti a quasi 500 campi da calcio.

“Hamas è responsabile. Voi nel pagate le conseguenze”

“Hamas è responsabile. Voi nel pagate le conseguenze” - Rosary Sister School - Gaza

La verità l’ha scritta un soldato israeliano durante una delle irruzioni nell’istituto religioso, cercando gli jihadisti che lì non hanno mai messo piede. I commando se ne sono andati a mani vuote. Poi sono arrivate altre bombe. Prima, però, uno dei militari ha preso da terra un pennarello scuro, di quelli usati per scrivere sulle lavagne. Ha voluto dire la sua in inglese, su una parete: «Hamas is responsible. You pay the price!». La guerra di Gaza spiegata in sei parole: «Hamas è responsabile. Pagate le conseguenze!».

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