mercoledì 21 maggio 2025
La visita era stata organizzata dall'Autorità nazionale palestinese. L'esercito ha espresso rammarico per i colpi sparati in aria. La protesta della Ue
Un frame del video pubblicato dall'account X State of Palestine mostra i momenti di panico dopo gli spari dell'esercito israeliano

Un frame del video pubblicato dall'account X State of Palestine mostra i momenti di panico dopo gli spari dell'esercito israeliano - ANSA

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«Non abbiamo nemmeno visto i soldati. Poi sono arrivati gli spari». Così una fonte diplomatica ha descritto l’episodio avvenuto oggi a Jenin, nel nord della Cisgiordania, quando una delegazione di 31 ambasciatori e funzionari europei, arabi, asiatici e latinoamericani – per l’Italia era presente il vice-console a Gerusalemme, Alessandro Tutino –, accompagnata dai media, si è recata al campo profughi su invito dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). La missione – ha spiegato il ministero degli Esteri di Ramallah – voleva «mostrare la distruzione e la sofferenza» dei 20mila abitanti dell’enclave, sfollati esattamente quattro mesi fa dall’esercito israeliano con l’inizio di “Muro di ferro”. L’operazione anti-terrorismo ha coinvolto anche i centri palestinesi Nur al-Shams, Tulkarem, Tubas. Nessuno, però, è stata colpita quanto Jenin, considerata la roccaforte della Jihad islamica e nel mirino già prima del 7 ottobre.

Il suo campo, creato per accogliere i rifugiati della guerra del 1948, è stato in gran parte distrutto: oltre seicento case sono ridotte in macerie. Completamente evacuata dallo stesso 21 gennaio, l’intera area è off-limits per la popolazione. Da qui l’idea dell’Anp di convocare i diplomatici stranieri.

Quando questi ultimi si sono avvicinati al check-point giallo che segna una delle entrate principali, la pattuglia militare di stanza ha sparato, senza fare vittime né feriti. Un «incidente» – si sono scusate le forze armate di Tel Aviv – determinato «dalla deviazione dal percorso approvato da parte della delegazione. I soldati che operano nell’area hanno sparato colpi di avvertimento in aria per tenerli lontani». Una versione non conforme a quella di alcuni testimoni. «Per quanto ci hanno detto, abbiamo fatto tutto come concordato con le forze armate. Era previsto che ci fermassimo in due punti. Eravamo arrivati al secondo e cominciavamo a disperderci quando sono arrivati i colpi», ha detto una fonte citata da Haaretz. In ogni caso – si legge nel comunicato diffuso – «ci rammarichiamo per l’inconveniente causato. Nei prossimi giorni, condurremo condurrà colloqui personali con i diplomatici per aggiornarli sui risultati preliminari dell'indagine». Il passo indietro non sembra avere placato il clamore internazionale.

Il coro di condanne, da Bruxelles a Ankara, da Amman a Berlino, è stato pressoché unanime. L’Alta rappresentante per la politica estera dell’Ue, Kaja Kallas, ha sottolineato che «di avvertimento oppure no, gli spari sono spari. Ogni minaccia all’incolumità dei diplomatici è inaccettabile». La guida della diplomazia europea ha chiesto «di portare davanti alla giustizia i responsabili dell’attacco». Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha condannato il fatto e convocato l’ambasciatore israeliano a Roma, Jonathan Peeled. L’intervento più duro della Farnesina dagli spari sui caschi blu di Unifil, nel sud del Libano. Lo stesso hanno fatto Parigi, Lisbona e Madrid, quest’ultima con l’incaricato d’affari. Un «atto illecito e deliberato», ha tuonato l’Anp mentre Hamas si è affrettata a cogliere l’occasione per denunciare «l’arroganza» israeliana. L’epidosio avviene in un momento di tensione tra Tel Aviv e l’Europa a causa del protrarsi del conflitto a Gaza e del blocco degli aiuti. Vari leader minacciano sanzioni mentre 25 Paesi occidentali hanno firmato una dichiarazione comune in cui esprimono preoccupazione per la crisi umanitaria nella Striscia, dove – ha ribadito Kallas – «la situazione è catastrofica».

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