venerdì 24 maggio 2019
Rimangono enormi le difficoltà logistiche per la consistente comunità chiamata alle urne Le stazioni elettorali sono state ulteriormente ridotte
Un immigrato chiede l’elemosina  davanti a un  cartello elettorale:  gli stranieri sono stati al centro  del dibattito (Ansa)

Un immigrato chiede l’elemosina davanti a un cartello elettorale: gli stranieri sono stati al centro del dibattito (Ansa)

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Davanti alla vecchia torre dell’Eurotower, prima sede della Banca centrale europea, il monumento alla moneta unica resiste alle bordate sovraniste. L’istituto guidato da Mario Draghi si è spostato in riva al Meno, ma simbolicamente il cuore monetario d’Europa è rimasto qui, al centro di una Europa multiculturale e in cima alle classifiche della qualità di vita. Il 53% degli abitanti è nato all’estero, ma la convivenza è buona, l’integrazione procede, la disoccupazione è bassa.

Dalla zona benestante dell’Ue la rabbia sociale e la xenofobia sono distanti e così il voto agli estremisti di destra anti-europei di Afd non sfonda. Nella prima domenica del gennaio del 2018 dalla centrale piazza Hauptwache è anzi partita Pulseurope, una campagna europeista che ha toccato tutte le città tedesche. Per Philip Kardinahl, analista della fondazione Konrad Adenauer, i tedeschi hanno conservato, a differenza degli italiani, un alto tasso di europeismo. «Per la prima volta la società civile organizzata – associazioni di cittadini e di imprenditori, professionisti, sindacati – ha fatto campagna a favore della partecipazione al voto europeo soprattutto dei giovani. Rispetto alle ultime politiche, il tema dell’immigrazione è meno importante per i tedeschi. La partecipazione al voto europeo è mediamente del 50%. Stavolta potrebbe essere superiore. Il fallimento della Brexit ha abbassato l’euroscetticismo».

Gli ultimi sondaggi davano la Cdu al 28%, socialdemocratici (Spd) al 17%, Verdi al 20% e Afd al 10%. Nel mosaico di Francoforte gli italiani sono arrivati negli anni 50 e sono numerosi. Avanguardia di elettori europei in piena Ue. Nella circoscrizione consolare almeno ufficialmente sono oltre 150mila secondo i «quaderni francofortesi» coordinati da Pasquale Marino. Il 52% è nato in Germania e quindi tedeschi g2, di seconda generazione. Italotedeschi che conoscono poco o nulla del Belpaese ma che non sono neppure germanici. Sono in mezzo al guado come l’Ue. Paradossalmente faticano a votare per il Parlamento d’Europa che è in definitiva la loro identità. «Ma sarebbe peggio se non ci fosse l’Unione Europea».

Padre Tobia Bassanelli è il responsabile delle missione cattolica italiana di Francoforte e direttore del Corriere d’Italia, storico mensile locale dei nostri emigrati tirato in 27mila copie. Ha visto diverse generazioni, convinte di ripartire in pochi anni, crescere in Germania i figli e ora i nipoti. «I modi di votare sono due – spiega – chi ha la doppia cittadinanza o risiede da tempo qui può votare i candidati tedeschi facendo richiesta in anticipo al Comune. Chi invece vuole votare i candidati italiani deve andare nei seggi indicati dal consolato ». Che sono pochi per i tagli decisi dal precedente governo. Molti connazionali hanno protestato perché per esercitare il diritto-dovere di voto dovranno percorrere 30-40 chilometri. Così probabilmente la media dei votanti resterà bassa e non supererà il 10-12% anche stavolta «Anche perché – spiega Vincenzo Mancuso, vicepresidente del Comites, comitato degli italiani all’estero di Francoforte e membro del Cgie – gli italiani all’estero sceglieranno tra i candidati delle circoscrizioni nazionali dalle quali proven- gono. Chi è qui da anni non si sente rappresentato da partiti che ignorano i nostri problemi. Anche per questo l’affluenza resta bassa».

Mancuso é un medico specializzatosi in Germania negli anni 70. È arrivato a dirigere reparti ospedalieri, ha sposato una tedesca e oggi è in pensione. «Vista da qui l’Europa è una gran conquista – afferma – e credo che la maggior parte dei connazionali non voglia tornare indietro. Pensi solo alla libertà di circolazione che diamo per scontata. Ricordo le code in aeroporto in dogana prima di Maastricht». Una richiesta dei nostri emigrati che nessun partito ascolta è l’armonizzazione burocratica in chiave europea. Ad esempio la carta di identità cartacea anziché elettronica non viene accettata dalle banche tedesche né dalle compagnie telefoniche. Aprire un conto corrente e acquistare un numero tedesco richiede il passaporto, più costoso e da ottenere con altri viaggi in consolato.

Altro problema è la cittadinanza. I figli nati in Germania da cittadini europei diventano automaticamente tedeschi e non vengono registrati all’anagrafe italiana. Tocca ai genitori, spesso poco informati, attivarsi con il consolato. Anche qui occorrerebbe maggiore armonizzazione. Come l’Europa, Francoforte è selettiva. «Riaccompagno in media 3-4 persone alla settimana in stazione con i soldi per rientrare – racconta padre Tobia – e non sono tutti giovani. Chi è disoccupato tenta la carta Germania. Ma qui occorre una specializzazione e la conoscenza della lingua. Altrimenti si finisce in cucina nelle pizzerie o nelle gastronomie italiane, con salari bassi e non sempre in regola».

La città è molto cara. Le tante multinazionali, le istituzioni finanziarie e l’aeroporto più grande del continente hanno fatto lievitare i prezzi di ristoranti, alberghi e gli affitti. La missione cattolica, le Acli e altre associazioni di italiani organizzano corsi di lingua tedesca, ma chi non ha una rete non ce la fa economicamente. Ai cervelli in fuga, invece, va molto meglio. «Ricevo trequattro telefonate al giorno di italiani assunti da aziende e banche.

Chiedono informazioni sulla scuola per i figli e sui corsi di lingua tedesca per loro. Nessuno li orienta, ma non siamo a Berlino dove basta parlare inglese per inserirsi», dice Liana Novelli. È arrivata in Germania con una borsa di studio mezzo secolo fa da Torino. Sposata con un tedesco, ha insegnato nelle scuole superiori e all’università, fa parte del coordinamento donne con il quale ha affrontato i problemi delle emigrate ed è un riferimento per la comunità. Con lei parliamo del basso numero di laureati tra i g2 italiani. «Quella tedesca è una scuola classista, a 9 anni la maestra decide se farai il ginnasio o no in base anche al ceto sociale. Le famiglie italiane per difficoltà linguistiche e cultura non insistono, non credono ai titoli accademici».

Così restiamo ai margini nelle università e nei partiti, superati anche dai turchi. La nuova ondata di quadri, dirigenti e professionisti dalla Penisola partecipa alle iniziative culturali di Italia altrove, la cui sezione di Francoforte fa capo a Manuela Rossi. Milanese, è arrivata 15 anni fa con un marito e due figli inseriti nella scuola europea. «L’istituto di cultura italiana è stato chiuso, noi suppliamo con serate che spaziano dalla letteratura agli eventi regionali». Il voto di questo gruppo di connazionali domenica sarà in prevalenza europeista perché tra chi ha la doppia cittadinanza e vota liste tedesche o italiane l’Ue è diventata casa comune, un punto di non ritorno. Come il monumento all’euro che non emoziona più. Ma rassicura.

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