mercoledì 4 gennaio 2012
​I cristiani chiedono maggior impegno al presidente Goodluck Jonathan dopo l’ultimatum degli islamisti di Boko Haram. Il vescovo di Abuja: «Il gruppo non rappresenta i musulmani, in maggioranza pacifici». Sulle violenze interreligiose si innestano le manifestazioni contro l’aumento dei carburanti.
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​In una Nigeria ancora scossa dalle violenze interreligiose scatenate dagli attentati di Natale degli estremisti islamici di Boko Haram, nuove tensioni sono divampate ieri nel Paese dopo gli aumenti record del costo della benzina (con punte superiori al più 120 per cento), causati dalla decisione di eliminare il sussidio governativo che serviva a calmierarne il prezzo. Il tutto mentre i cristiani continuano a sollecitare l’aiuto del presidente Goodluck Jonathan dopo l’ultimatum del gruppo Boko Haram, che ha intimato ai cristiani che vivono al Nord di lasciare case e villaggi. È di fatto l’annuncio di una pulizia etnico-religiosa con echi sinistri di guerra civile: gli integralisti hanno minacciato anche di combattere contro le forze governative nelle zone di Yobe, Borno, Plateau, dove il presidente ha proclamato lo stato d’emergenza.Il vescovo di Abuja, monsignor John Onayekan, ha chiesto a tutti i fedeli «di non prendere sul serio e di ignorare le minacce dei terroristi», in quanto Boko Haram «non rappresenta affatto i musulmani della Nigeria, in maggioranza pacifici e in armonia con i cristiani». Consigli analoghi sono arrivati anche dai rappresentanti delle forze di sicurezza, che hanno promesso maggiore efficacia nella lotta agli estremisti: «Vogliamo rassicurare tutti i nigeriani che possono vivere sereni, le forze dell’ordine lavorano per proteggere le proprietà e le vite di tutti i cittadini onesti», ha affermato Andrew Owoye Azazi, consigliere speciale del presidente per la sicurezza nazionale. Ma la paura tra i cristiani resta. «Le chiese sono state distrutte e sono andate perdute delle vite e non c’è segno che tutto questo possa finire, finché il governo non interverrà in maniera decisiva», ha affermato due giorni fa l’arcivescovo di Jos, monsignor Ignatius Ayau Kaigama. Intanto ieri a Lagos più di mille persone hanno marciato per chiedere un passo indietro del governo sul fronte del caro-benzina. Lo stesso è accaduto a Kano (nel nord), a Ilorin (sud-est) e in altre città. La situazione più critica si è verificata lunedì ad Abuja, dove la polizia ha lanciato lacrimogeni e sparato in aria colpi di arma da fuoco per disperdere i manifestanti che volevano raggiungere Eagle square, la piazza che ospita da sempre gli appuntamenti più significativi e simbolici della nazione.Con l’aumento della benzina sono schizzati, in una nazione dove le auto private hanno una diffusione molto limitata, i prezzi del trasporto dei bus e delle okada, motocicli-taxi di fabbricazione cinese con i quali si muove gran parte dei nigeriani. Si teme anche per le ripercussioni sui prezzi dei prodotti alimentari, mentre è una certezza che salirà il costo per rifornire i generatori a gasolio, di norma l’unico strumento per usufruire dell’energia elettrica. «Il costo calmeriato del carburante era l’unico beneficio che arrivava davvero alla popolazione dalle ricchezze petrolifere della Nigeria: adesso non abbiamo neanche quello», spiega un funzionario ministeriale. In effetti, in una nazione in cui l’80% degli abitanti vive con meno di 1,5 euro al giorno, il carburante costa quanto negli Stati Uniti. E cioè 145 naira 70 centesimi di euro), contro le 65 naira di tre giorni fa. «Non si tratta di un provvedimento punitivo nei confronti dei nigeriani», ma della volontà di liberare risorse per infrastrutture, salari e occupazione, si è difeso il presidente Jonathan. Ma in un momento in cui la sua stessa autorità è indebolita dagli attacchi degli estremisti islamici, il caro-benzina rischia di avere per il capo dello Stato conseguenze politiche forse più gravi del previsto.
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