mercoledì 21 febbraio 2018
I White Helmets: «Tutto è nel mirino, pure noi. Aiutare è morire». I raid del regime siriano sull’ultima regione ribelle rimasta sono continui. In 48 ore, già 250 morti
Questa foto diffusa dal gruppo White Helmets è diventato simbolo della tragedia di Ghouta: una bimba con il pigiamino rosa viene calata da un palazzo bombardato

Questa foto diffusa dal gruppo White Helmets è diventato simbolo della tragedia di Ghouta: una bimba con il pigiamino rosa viene calata da un palazzo bombardato

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«Trenta ore di bombardamenti continui, 200 morti, tra cui una sessantina di bambini, 400 feriti gravi». Mohammed Adam, operatore dei White Helmets, i soccorritori siriani nei Ghouta orientale, prova a contenere nei numeri una tragedia che non sembra avere più limiti. E che peggiora di ora in ora: ieri, in serata, gli ultimi bilanci, dopo 48 ore di raid, parlavano di 250 morti. «Ci stanno colpendo con tutto – spiega al telefono da Harasta –: missili, mortai, barili bomba. E i barili bomba sono quelli che provocano più danni, sono persino peggio delle armi chimiche».

Ne basta uno per distrugger un intero quartiere. Uno di quelli che una volta erano produttivi villaggi agricoli: il Ghouta era considerata l’oasi di vegetazione siriana intorno alla capitale. Con l’espansione urbana di Damasco, questi villaggi sono diventati periferie povere della capitale, da cui distano solo 30 chilometri. In totale sono venti le aree colpite dai violentissimi raid di questi ultimi tre giorni, con aerei russi e siriani. Si calcola che siano 400.000 le persone sotto attacco. «Duma, Kfar Batna, Ammuria, Harasta, Gesrin, Mestaba...».

Mohammed Adam inizia ad elencarle, poi la comunicazione si interrompe con un boato. Il regime bombarda senza soluzione di continuità. E colpisce ovunque: «Abitazioni, scuole, ospedali, forni e magazzini alimentari ». «I raid costituiscono un evidente crimine di guerra», ha detto ieri Amnesty International. Solo la settimana scorsa, un convoglio delle Nazioni Unite (autorizzato dal regime di Bashar al-Assad) era riuscito ad entrare nel Goutha, assediato dal 2013, per rifornire l’enclave di medicinali e beni di prima necessità. Il personale Onu ha trovato una popolazione civile allo stremo.

«Negli ultimi mesi la malnutrizione è aumentata di cinque volte – spiega Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia –. Centinaia di bambini sono gravemente malati e hanno bisogno di lasciare la città per essere curati». Mohammed Adam conferma: «Al momento non esiste un rifugio sicuro per nessun bambino. I cacciabombardieri stanno prendendo di mira anche le nostre ambulanze – spiega il soccorritore – e non sappiamo cosa fare. Siamo posti davanti a un dilemma: tentare comunque di trasportare i feriti o salvare il nostro personale, senza il quale non ci sarebbe alcun soccorso». Mohammed ha sùbito quattro perdite tra i suoi uomini in pochi giorni. Il morale è basso, ma i White Helmets sono addestrati a questo genere di scenari, anche se ammettono che neanche ad Aleppo avevano assistito a tanta intensità di raid.

«La ragione è semplice – spiega Haid Haid, ricercatore siriano del think tank inglese Chatam House –: il regime non vuole avere nemici vicino alla sua roccaforte». L’unica soluzione sarebbe quindi una tregua o un’amnistia, come avvenuto con i ribelli di Aleppo Est nel dicembre del 2016. «Il Ghouta orientale fa parte delle zone di de-escalation accordate ad Astana tra Turchia, Iran e Russia, ovvero le super-potenze che contano davvero in Siria», spiega Haid. Ma il problema è che i ribelli non si fidano del regime, non sanno dove potrebbero essere spostati, non sanno quanti di loro verrebbero uccisi comunque, solo perché si trovano nelle vicinanze della capitale. E sembrano intenzionati a lottare fino alla fine.

«Al momento ci sono due principali gruppi di oppositori – sottolinea il ricercatore –: Jeish al-Islam, di ispirazione islamista ma non affiliato né a Daesh né ad al- Qaeda, e la brigata Al-Rahman, affiliata all’Esercito siriano libero. Infine – aggiunge – c’è un’esigua presenza qaedista del Fronte al-Nusra, che non negozia con nessuno». In attesa di una soluzione diplomatica, che però non si intravede, i White Helmets chiedono alla comunità internazionale di non voltare le spalle di fronte all’ennesima tragedia. Perché la guerra in Siria non è ancora finita.

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