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La Corte Suprema a Washington - Ansa
Smontata l'ennesima teoria del complotto. Caracas non ha infiltrato 2mila membri del Tren de Aragua per destabilizzare Washington. La nota gang sarà pur nata nelle carceri del Venezuela, ma non è diretta dal palazzo di Miraflores. E le interazioni fra membri del Tren e funzionari del chavismo non sono frequenti. A renderlo noto è stato il Washington Post citando le conclusioni del National Intelligence Council sulla base di informazioni provenienti da diciotto agenzie di Intelligence Usa. La sola ipotesi è stata ritenuta «ridicola» da Geoff Ramsey, esperto del think tank “Atlantic Council” con sede a Washington. Ma l’Amministrazione Trump non fa alcun passo indietro, neppure dopo la smentita. «Il presidente Trump ha preso una decisione storica per la sicurezza della nazione», ha sostenuto un portavoce dell'Ufficio della direttore dell'intelligence nazionale, per il quale: «Ora gli attori del Deep State sono risorti e utilizzano la loro arma di propaganda per attaccare le politiche di successo» dell'amministrazione.
L'assenza di prove sui collegamenti tra la gang e il governo di Maduro era nota anche a The Donald, che ha deciso comunque di farne una bandiera. L'idea era quella di riesumare, anche senza prove, l’antico Alien Enemy Act risalente al 1798 utile nel nome di una «guerra irregolare » liberata dalla gang venezuelana contro gli Stati Uniti e in collaborazione con “El Cartel de los Soles” – altra chimera di lungo corso –, come si legge tuttora sul sito della Casa Bianca. Il tutto per convalidare le deportazioni sommarie di centinaia di migranti nel Centro de confinamiento del terrorismo (Cecot) di El Salvador, il maxi-carcere che costa a Washington 6 milioni di dollari all'anno. Non sono pochi gli innocenti sbattuti dietro quelle sbarre, come nel caso di Kilmar Abrego Garcia, il cittadino salvadoregno deportato per errore dagli Stati Uniti. Il suo ritorno è stato recentemente disposto anche dalla Corte d'appello del Quarto circuito. La decisione, unanime, ribadisce la sentenza della giudice distrettuale del Maryland Paula Xinis, che incalza l’Amministrazione Trump perché si adoperi per il ritorno di Abrego Garcia.
Ma lo scontro tra TheDonald e i giudici non si ferma qui. «Cosa sta succedendo con i nostri tribunali? Sono totalmente fuori controllo. Sembrano odiare Trump a tal punto che tutto è lecito!», ha tuonato il tycoon sulla piattaforma Truth scagliandosi contro il giudice che ha sospeso la revoca dello status di protezione nei confronti di 530mila cubani, haitiani, nicaraguensi e venezuelani (si è aggiunto, ieri, il giudice di una corte d’appello federale che ha respinto la richiesta dell’Amministrazione di revocare le tutele a 350.000 migranti venezuelani). Poi è intervenuta la Corte Suprema, che ha sospeso l'espulsione di presunti membri di gang venezuelane: «Il governo ha l'ordine di non espellere alcun membro della presunta classe di detenuti dagli Stati Uniti fino a nuovo ordine di questa corte», si legge nell'ordinanza.
La linea dura di Trump raggiunge anche i Paesi di origine, specie il Venezuela ora sottoposto a sanzioni ed embargo petrolifero. «Non ha soldi», ha rivendicato mentre parlava con il presidente salvadoregno Nayib Bukele alla Casa Bianca, accusando Caracas di aver svuotato le prigioni per mandare gli ex detenuti in Usa. Finora l'unico risultato della pressione trumpiana è stato l’irrigidimento delle persecuzioni nel Paese, con 890 prigionieri politici di cui 61 dei quali si sono perse le tracce, secondo quanto denunciano i familiari e l’Ong “Foro Penal”. Si contano anche 9mila persone sottoposte a misure restrittive per ragioni politiche. Quella dei desaparecidos è una strategia che raggiunge anche i familiari dei detenuti. È il caso di cinque parenti del tenente recluso a “Ramo Verde” José Ángel Rodríguez Araña, tra cui i genitori José Rodriguez e Neida Coromoto Araña, prelevati da casa nella Domenica delle Palme e dei quali non si hanno notizie da allora.