sabato 21 dicembre 2019
Lo scenario si fa sempre più complesso ed esplosivo. Russia ed Egitto schierati contro l'asse tra Ankara e Tripoli
Combattimenti in Libia (Foto di archivio Ansa)

Combattimenti in Libia (Foto di archivio Ansa)

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Fayez al-Sarraj, presidente del governo riconosciuto dalla comunità internazionale, ha deciso di aprire all’intervento militare esterno per battere il nemico Khalifa Haftar. In cinque lettere, destinate ad altrettanti “Paesi amici” – Usa, Gran Bretagna, Algeria, Turchia e Italia –, il leader ha chiesto «ogni possibile aiuto» per fermare il generale ribelle, ormai alle porte di Tripoli.

«Attivate gli accordi di cooperazione in materia di sicurezza per respingere l’aggressione di gruppi armati che operano al di fuori della legittimità», chiede Sarraj.

Quest’ultimo si rivolge alle nazioni che, nel 2016, hanno sostenuto l’offensiva anti-jihadista su Sirte e che sono considerate “più vicine”: scontata, dunque, l’esclusione della Francia, ritenuta filo-Haftar. In realtà, però, la priorità per il presidente è Ankara. Non a caso, le lettere sono state scritte al termine della riunione in cui i vertici libici hanno attivato il protocollo di collaborazione con la Turchia, siglato il 27 novembre.

La mossa di Sarraj, dunque, offre una sorta di legittimazione all’invio di truppe da parte di Recep Tayyb Erdogan. Il quale, per altro, sembra ansioso di entrare in forze nello scenario libico, dove sono già presenti avanguardie sul terreno.

Di tutt’altro parere l’Italia. «La soluzione alla crisi può essere solo politica, non militare», hanno spiegato fonti della Farnesina che continua a «respingere qualsiasi tipo di interferenza». Una posizione già espressa dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, durante il tour libico di martedì e in piena sintonia con l’Europa. Il portavoce della Commissione Europea, Peter Stano, ha esortato a «evitare di aumentare le tensioni».

Oltre ad Haftar – che ha minacciato di «distruzione» chiunque aiuti il rivale –, la più preoccupata per un sempre più imminente intervento turco è, però, Mosca. «Finché non sarà risolto il conflitto, un intervento militare esterno può solo portare a una complicazione della situazione», sostengono fonti del ministero degli Esteri russo.

Non è un segreto che il Cremlino sia molto interessato allo scenario nordafricano, come dimostra la presenza di un ingente numero di contractor della Wagner, milizie private russe impegnate a sostegno di Haftar, anche se Vladimir Putin non si stanca di ripetere di avere colloqui con entrambe le parti.

Proprio la partecipazione alle operazioni di «questi mercenari» è stata impiegata da Ankara per giustificare il proprio intervento. «Non sarebbe giusto rimanere in silenzio davanti a tutto ciò. Abbiamo fatto del nostro meglio e continueremo a farlo», ha affermato il presidente Erdogan. E ha aggiunto: «Haftar non ha legittimazione, il presidente libico legittimo è Sarraj. Purtroppo stiamo assistendo all’intento di legittimarlo di Egitto, Abu Dhabi, Francia e – ha anche dichiarato – «perfino Italia». Proprio sulla crisi libica, ieri, Erdogan e il premier Giuseppe Conte hanno avuto una lunga conversazione telefonica.

Contro l’asse Tripoli-Ankara si è schierato anche l’Egitto che ha chiesto all’Onu di non registrare i due memorandum di cooperazione militare firmati da Erdogan con Sarraj perché rappresenterebbero una violazione dell’accordo di Skhirat del 2015. È stata quest’ultima intesa, firmata nella città marocchina dagli esponenti delle varie fazioni libiche, sotto la supervisione dell’Onu, a conferire legittimità internazionale al governo Sarraj. Al di là della questione formale, però, a far infuriare Il Cairo è la creazione di un corridoio – marino – diretto tra Libia e Turchia, che lo taglierebbe fuori.

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