venerdì 13 dicembre 2019
L'impegno di Alas in America Latina contro le multinazionali del crimine e la corruzione. Don Luigi Ciotti: «Dobbiamo andare incontro al domani. Non attenderlo arroccati nei nostri pregiudizi»
I partecipanti alla terza assemblea di Alas a Città del Guatemala

I partecipanti alla terza assemblea di Alas a Città del Guatemala

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Delay è cresciuto nella favela Acarí di Rio de Janeiro. Narratore autodidatta, allenatore di calcio, ha dedicato gli ultimi 40 anni alla difesa dei giovani dalle violenze dei trafficanti e della polizia e, per questo, rischia la vita. Ana è partita da San Pedro Sula, in Honduras, dieci anni fa, per il Messico. Cerca il suo unico figlio, desaparecido, e nel suo doloroso pellegrinare aiuta altre famiglie di migranti a ricongiungersi con i loro cari. Carla e Daniel sono muralisti di professione. Nel tempo libero, però, hanno riempito di immagini e colori la baraccopoli di Leticia, aggrappata alla collina San Cristóbal di Lima, trasformandola in una meta turistica. Margarita, con la lunga treccia bianca e le gambe malferme, percorre in lungo e largo gli altipiani boliviani di Oruro per proteggere la madre terra dalla voracità delle miniere.
«Poeti sociali», chiama papa Francesco i piccoli che non si rassegnano all’ingiustizia e costruiscono, con le loro mani callose, alternative concrete alla cultura dello scarto dominante. «Lottatori per la vita», li ha definiti un commosso don Luigi Ciotti, giunto a Città del Guatemala per guardare negli occhi e abbracciare questi «seminatori di cambiamento». Sono loro il popolo di Alas – America Latina alternativa social –, la rete promossa da Libera quattro anni fa e ormai estesa in 12 Paesi del Continente. Ne fanno parte oltre 60 organizzazioni popolari, differenti per ambito di lavoro, unite, tuttavia, dal comune impegno perché lo slogan del “diritto alla sicurezza” si trasformi in una politica per la “sicurezza dei diritti”. Una questione cruciale per la realtà latinoamericana, come la “rivolta regionale” degli ultimi mesi dimostra. Le multinazionali del crimine hanno catturato interi “pezzi” delle ancor giovani democrazie del Continente. Di fronte al loro avanzare, spesso, i governi – “morbidi” con le mafie – non esitano a proporre il pugno di ferro verso i più deboli. Al contempo, la giusta lotta alla corruzione viene trasformata in leitmotiv, privo di contenuto, da agitare contro gli avversari. Sullo sfondo, i nodi reali restano irrisolti. Mentre il peso delle “mazzette facili” ricade sui poveri, derubati dei servizi di base. E si traduce in un aumento della diseguaglianza, di cui già l’America Latina detiene il record mondiale. Di fronte a tale situazione «non possiamo, però, permetterci di essere pessimisti. Dobbiamo andare incontro al domani, non attenderlo arroccati nei nostri pregiudizi, nelle nostre debolezze, nei nostri dubbi", ha detto don Ciotti agli ottanta partecipanti della terza assemblea di Alas. Dopo la fase di rodaggio, la rete ha iniziato un percorso di ricerca e formazione comune in favore delle vittime delle “sviluppo”, inteso come modello volto al profitto ad ogni costo e, in genere, legato a doppio filo agli interessi illeciti.
Tutela degli attivisti, promozione di normative per il riutilizzo sociale dei beni confiscati al crimine e costruzione di una giustizia minorile dal volto umano sono le priorità. Un impegno che Libera ha deciso di accompagnare raddoppiando gli sforzi. «Solo il noi è la strada – ha detto il suo presidente, che frequenta il Guatemala fin dagli inizi del Gruppo Abele –. Non c’è presente né futuro per i navigatori solitari».

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