venerdì 21 ottobre 2011
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Là dove tutto è iniziato, a Sirte, tutto è finito. A distanza di 42 anni dal colpo di Stato che lo ha portato alla guida dello scatolone di sabbia libico, Muammar Abu Minyar Gheddafi (in arabo, Al Qadhafi), nativo della provincia di Sirte, il più longevo, politicamente, e africano, per stile, dei dittatori della sponda meridionale del Mediterraneo, è uscito di scena. E nel suo caso, vista la varietà di rappresentazioni teatrali cui ha abituato il suo popolo e il mondo intero per 4 decenni, l’espressione è più che mai adatta.Espugnata la città a lui più fedele dopo settimane di assedio, i ribelli lo hanno catturato mentre tentava la fuga dalla buca in cui si era nascosto. Ma chissà quale versione, fra quelle che circolano in queste ore, corrisponde al vero. Aveva detto che non si sarebbe arreso e così pare sia stato, ma non è chiaro se a ferirlo mortalmente siano stati i colpi degli insorti oppure i raid Nato a supporto dei rivoluzionari. Resta il fatto che, morto in battaglia come aveva profetizzato, ora Muammar Gheddafi è definitivamente leggenda.
 
La famiglia, fra mito e scheletri nascostiDell’infanzia della "Guida della rivoluzione" – così si faceva chiamare in patria affinché nessun concittadino dimenticasse a chi doveva la "liberazione" dal sovrano filo-occidentale Idris – si sa poco o niente. E anche sugli episodi noti al pubblico rimane il dubbio della confezione a tavolino. Nato (ma non c’è certezza) nel 1942 fra Sirte e l’oasi di Sebha nell’allora provincia italiana di Misurata da una famiglia di tradizione nomadica e fede musulmana, Gheddafi potrebbe in realtà avere uno scheletro nell’armadio scomodo per un leader arabo apertamente antisemita. Con sempre maggiore insistenza negli ultimi anni, infatti, la stampa mediorientale ha avanzato la tesi delle sue origini ebraiche: a sostenerlo è anzitutto Rachel Tammam, anziana signora israeliana di origine libica la cui sorella, Razale Tammam, sarebbe la mamma di Muammar. Un’ebrea convolata a nozze, appena maggiorenne e contro il volere dei genitori, con un concittadino musulmano. Prima o poi gli storici daranno soluzione all’enigma. Certo, questo spiegherebbe la relazione, pare digerita senza sussulti dal Colonnello, fra il figlio Seif El Islam e l’attrice israeliana Orly Weinerman, iniziata nel 2006, mai smentita e forse mai terminata. Per non parlare della forte amicizia fra i Gheddafi e alcune famiglie ebree statunitensi, con cui il clan ha condiviso questioni di business.Il Colonnello, comunque sia, ha sempre preferito enfatizzare altre tappe significative della propria vita: come l’esplosione di una mina, probabilmente italiana, che costò la vita a due suoi cugini e a lui il ferimento a un braccio nel 1948. Da qui l’odio per l’occupazione coloniale. Oppure il legame viscerale con la vita spartana, ma solidale, delle genti del deserto, e la repulsione per quella alienante della città. Ecco spiegata l’impossibilità di separarsi dalla sua "frugale" tenda anche nei viaggi all’estero.E ancora, la fascinazione per il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, di cui conobbe le aspirazioni panarabe a scuola negli anni dell’adolescenza. Dopo la scuola coranica, Muammar si iscrisse all’università a Benghasi (facoltà di geografia), ma la lasciò presto per intraprendere studi militari all’Accademia. Poi, la specializzazione in Gran Bretagna, il rientro in patria e la nomina a capitano dell’esercito a 27 anni. Pochi mesi dopo era già diventato colonnello. Almeno dal 1959 Muammar era attivo politicamente: con alcuni amici anti-monarchici e anti-colonialisti aveva organizzato varie manifestazioni contro il re Idris I, inneggiando alla libertà del popolo libico. Paradossi della storia.
La Rivoluzione e le ambizioniCon un golpe militare organizzato insieme ad altri 12 ufficiali filo-nasseriani dell’esercito, Gheddafi ha spazzato via Idris I tra il 26 agosto e il 1° settembre del 1969, proclamato la Repubblica e, allo stesso tempo, instaurato una dittatura con a capo se stesso. Un capolavoro di creatività politica culminato nell’ideazione del Libro verde (1976), terza via fra comunismo e capitalismo, in equilibrio precario fra socialdemocrazia, panarabismo, fede islamica. L’esordio dell’era Gheddafi è stato caratterizzato dalla rinazionalizzazione delle risorse petrolifere e l’espulsione degli stranieri (soprattutto gli italiani, gli ultimi 20.000 nell’ottobre del 1970). Poi, fin da subito tolleranza zero per i dissidenti, braccati e uccisi in patria e anche all’estero. Degli ufficiali suoi alleati pochi sono rimasti in vita, lontani da incarichi pubblici. Le tribù a lui avverse (Tabu e Warfallah, in primis) sono state discriminate e perseguitate in ogni modo.Ma il colonnello ha subito mostrato di guardare oltre i confini nazionali, con ambizione. Al sostegno dato all’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) di Yasser Arafat ha fatto seguito quello per l’Esercito repubblicano irlandese (Ira), per i ribelli colombiani (Farc) e i palestinesi di Settembre nero. Sullo sfondo il comune denominatore del "satana" americano-anglosassone-israeliano. Non riuscendo a realizzare i propri sogni di leader panarabo alla guida di una federazione fra Libia, Egitto, Tunisia e Siria, emarginato in seno alla Lega degli Stati arabi, Muammar Gheddafi ha rivolto le proprie attenzioni al continente africano, dapprima come alleato di ferro di storici dittatori come il centrafricano Bokassa e l’ugandese Dada. Poi, ecco l’idea di una grande Unione Africana, i cui membri però non hanno dato le soddisfazioni sperate al colonnello: la recente presidenza Gheddafi è naufragata nel gennaio 2010 dopo neanche un anno, a seguito di uscite poco felici contro il multipartitismo e la democrazia, a favore della pirateria in Somalia e del nucleare.
 
L’appoggio ai terroristi internazionaliA Gheddafi è attribuita, fra i numerosi massacri dai contorni ancora indefiniti, la strage di Lockerbie, in Scozia: il 21 dicembre 1988, un aereo Boeing 747-121 della compagnia americana Pan Am in volo nella tratta Londra-New York esplose sulla cittadina scozzese. I morti furono 259 a bordo e 11 a terra. Per l’attentato, provocato da esplosivo posizionato sull’areo, la polizia scozzese e il Federal bureau of investigation americano (Fbi) hanno ritenuto colpevoli Abdel Basset Ali Al Megrahi, ufficiale dell’intelligence libica, e Lamin Khalifah, responsabile della compagnia aerea libica a Malta, consegnati agli investigatori scozzesi nel 1999, dopo anni di sanzioni economiche delle Nazioni unite contro la Libia. Tripoli ha risarcito i parenti delle vittime con 2,7 miliardi di dollari nel 2003, ottenendo la revoca dell’embargo economico l’anno successivo. Dietro alla decisione di Gheddafi di assumersi le responsabilità del massacro (mai in modo diretto, però) l’intervento del figlio Seif Al Islam, fino a poco prima della guerra civile il volto presentabile del regime.Da sottolineare, comunque, che Al Megrahi non ha scontato l’ergastolo (per motivi di salute) e, rientrato in patria nel 2009, è stato accolto come un eroe. L’ex ministro della Giustizia Jalil, ora capo del Consiglio nazionale transitorio, ha rivelato in un’intervista che l’attentato fu ordinato da Gheddafi stesso.
 
Nemico numero uno degli UsaPer lunghi anni, il fondatore della Jamahiriya (Grande Stato arabo libico socialista delle masse popolari) è stato la bestia nera di Washington, sostenitore di reti internazionali terroristiche di matrice islamica e non, ben prima della comparsa di Osama Benladen. Il tentativo più celebre di eliminarlo è stato quello della presidenza Reagan, nel 1986, con il bombardamento di Tripoli e Benghasi che provocò la morte, fra gli altri, di una figlia adottiva di Muammar Gheddafi. La Guida si salvò, sembra perché avvisato da Bettino Craxi, allora primo ministro italiano. Gheddafi è uscito dalla lista nera dei nemici americani rinunciando alle armi di distruzione di massa e al sostegno a regimi sotto accusa, come quello di Saddam Hussein, già negli anni ’90, ma il dittatore non ha mai smesso di stupire con improvvisi cambi di rotta. Nel settembre 2009, intervenendo, con un discorso di un’ora e mezza piuttosto dei canonici 15 minuti, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, accusò l’organizzazione di terrorismo internazionale al pari di Al Qaeda e chiese 7,7 migliaia di miliardi di dollari di risarcimento alle nazioni africane per il passato coloniale. Eppure da una decina di anni il Paese si è aperto ai capitali stranieri e ha cominciato, di riflesso, a investire all’estero. Se si tiene presente solo la relazione privilegiata con l’Italia, sancita da un Trattato di amicizia siglato nel 2008 e poi stracciato da Roma quest’anno, allo scoppio della guerra, erano oltre 100 le aziende italiane presenti nel Paese africano, mentre le società Libyan investment authority (Lia) e Libyan arab foreign investment company (Lafico) controllano il 7,4% di Unicredit, il 7,5% del team Juventus, il 2% di Finmeccanica, il 2% di Fiat-Iveco, l’1% di Eni, il 26% di Olcese (quote oggi congelate). Importanti partecipazioni azionarie su scala mondiale che hanno garantito al clan Gheddafi almeno 70 miliardi di dollari.Ma non l’eternità. Come il Grande fiume d’acqua, l’acquedotto lungo 4mila km creato per condurre acqua fossile dal cuore del deserto libico fino alle città costiere: uno sforzo ingegneristico senza pari e destinato a esaurirsi, come le falde desertiche, in pochi decenni.
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