venerdì 16 maggio 2025
Sul Bosforo i colloqui diretti si sono trasformati in uno scambio di accuse davanti ai mediatori americani e turchi. Alla fine spunta l’ennesimo, in tre anni, scambio di mille prigionieri di guerra
Le due delegazioni nella prima seduta dei colloqui di Istanbul: in mattinata e nel pomeriggio le trattative sono durate pochissimo

Le due delegazioni nella prima seduta dei colloqui di Istanbul: in mattinata e nel pomeriggio le trattative sono durate pochissimo - Ansa

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Novanta minuti di colloqui sul Bosforo, i primi fra russi e ucraini dal marzo 2022, non sono serviti neanche per dirsi «addio».
Il ministro degli Esteri turco – confermando il ruolo di per ora unico mediatore di Ankara – invita le due delegazioni a «cogliere questa opportunità per progredire sulla strada della pace». L’unico risultato concreto, però, è l’accordo per lo scambio di prigionieri: «Mille per mille». Lo annuncia per primo, al termine del confronto, il ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov mentre il capo negoziatore di Mosca Vlamidir Medinsky, dice che la parte russa è «soddisfatta» ed è pronta a «continuare i contatti». Nessuna data, però. L’inviato di Mosca fa poi sapere che la richiesta di un incontro diretto tra Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin sarà «presa in considerazione». Un vertice tra i presidenti americano Donald Trump e russo Vladimir Putin, ha precisato in seguito pure il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, sarebbe «necessario» ma prima di deciderlo occorre effettuare una preparazione adeguata.

L’incontro diretto tra i due presidenti – richiesto con brusca accelerazione da Zelensky e fatto naufragare in questa tumultuosa vigilia da Putin – è, invece, per il governo di Kiev condizione necessaria per fissare una seconda tappa. Nessun altro passo avanti se, dalla delegazione di Kiev, filtra che le richieste di Mosca di ulteriori rinunce territoriali sono «irricevibili» e la volontà russa di non avere un rappresentate degli Stati Uniti nella trattativa, di fatto «mina i negoziati».

Toni più pacati, dopo lo scambio di accuse della vigilia – delegazione «farsa» quella russa per Kiev, un «clown» Zelensky per Mosca – ma sono più il non detto e le assenze a pesare rispetto alle dichiarazioni di circostanza. Il quasi fallimento di Istanbul - «un esito tragico» l’ha definito il cardinale Parolin - anche ieri è stato scandito dalle battute di Donald Trump che dopo il perentorio «torno a casa» di giovedì, ieri a bordo dell’Air Force One in partenza da Abu Dhabi, ha affermato che «potrebbe» chiamare il presidente russo Vladimir Putin per discutere la fine della guerra russa in Ucraina. «Dobbiamo incontrarci. Ci incontreremo io e lui. Penso che risolveremo il problema, o forse no, ma almeno lo sapremo. E se non lo risolveremo, sarà molto interessante», ha affermato alla Cnn.

Lo sfibrante attendismo di Vladimir Putin ha sinora vanificato il grande sforzo negoziale avviato d Trump a fine febbraio e sembra aver ricompattato, dopo le tensioni con Zelensky e i “volenterosi”, gli alleati occidentali di Kiev. Prima dell’incontro tra russi e ucraini, ci sono stati due incontri preparatori con i delegati statunitensi in prima fila, ma significativamente con diverse presenze al tavolo. A metà mattina l' incontro tra Stati Uniti, Ucraina e Turchia a Palazzo Dolmabahçe, presenti il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, il segretario di Stato americano Marco Rubio, l'ambasciatore statunitense ad Ankara Tom Barrack e il rappresentante speciale degli Stati Uniti per l'Ucraina Keith Kellogg. Un confronto di circa un’ora a cui, per la parte ucraina, secondo fonti del Ministero degli Esteri turco, hanno partecipato il consigliere presidenziale Andriy Yermak, e i ministri della Difesa e degli Affari Esteri, Rustem Umerov e Andriy Sybiga.

Significativa la presenza del segretario di Stato Rubio che in vece era assente al successivo incontro tra russi e americani: il capo delegazione russo Vladimir Medinsky ha infatti avuto un faccia a faccia con Michael Anton, direttore della pianificazione politica presso il Dipartimento di Stato Usa. La delegazione di basso profilo di Mosca ha provocato, come ovvia reazione, un serrate le fila degli alleati di Kiev anche perché era evidente sin dalla vigilia – nonostante la grande pressione mediatica esercitata da Trump – che la delegazione russa non aveva nessuna autorità per prendere qualsiasi decisone a Istanbul.

Forzatamente ottimista il presidente turco Recep Tayyip Erdogan: «È molto importante incoraggiare le parti senza alcuna imposizione per ottenere una pace equa e duratura» ha affermato che ha chiesto di tenere aperti tutti i canali negoziali. Se la sua centralità come unico mediatore diretto nella guerra tra Russia e Ucraina è stata canfermata, anche le sue aspettative sono andate deluse. E la matassa sembra aggrovigliarsi ulteriormente. Kiev chiede infatti che l’Occidente imponga sanzioni più pesanti a Mosca se non accetterà un cessate il fuoco di almeno trenta giorni. Ma la Russia, che intanto continua ad avanzare lentamente sul terreno e teme che Kiev voglia utilizzare una pausa nei combattimenti per riarmarsi, ha dichiarato che è necessario definire con precisione i termini di un cessate il fuoco prima di poterne accettarne uno.

Il mediatore russo Medinsky ha affermato che Russia e Ucraina hanno concordato di prendersi del tempo per delineare in dettaglio e per iscritto la loro visione di come dovrebbe essere un futuro cessate il fuoco. Dopo di che i negoziati potrebbero riprendere. Insomma, un altro nodo da sciogliere prima di avere una data per il secondo round. In una intervista Medinsky ha affermato che la storia ha dimostrato che i cessate il fuoco non sempre precedono i colloqui di pace e che i negoziati si sono svolti durante le guerre di Corea e del Vietnam mentre i combattimenti erano ancora in corso. Insomma, la guerra continua. Il negoziato forse.

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