martedì 2 novembre 2021
Il gigante asiatico, perennemente affamato di energia, ha aumentato la produzione giornaliera di carbone di oltre un milione di tonnellate
Una fabbrica a Diantou, nella provincia cinese di Shaanxi

Una fabbrica a Diantou, nella provincia cinese di Shaanxi - Ansa

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Nonostante il presidente cinese Xi Jinping la abbia disertata fisicamente - e gli sia stato impedito di parteciparvi in video-conferenza -, la Cina irrompe ugualmente nella Cop26. Con una “mossa” che pesa come un macigno sulla battaglia contro il riscaldamento globale. Il gigante asiatico, perennemente affamato di energia, ha aumentato la produzione giornaliera di carbone di oltre un milione di tonnellate.
A spingere verso questa accelerazione – che stride con gli obiettivi di fermare l’aumento delle emissioni entro il 2030 e raggiungere la “neutralità carbonica” entro il 2060, più volte annunciati da Xi – è stata la catena di blackout e razionamenti di elettricità degli ultimi mesi che hanno causato gravi problemi alla catena produttiva e di approvvigionamento della Cina. Insomma il gigante – che nel 2006 ha superato gli Stati Uniti come il più grande emettitore al mondo di anidride carbonica e che oggi emette il 28% delle emissioni di anidride carbonica globali, il valore equivalente alle emissioni prodotte da Stati Uniti, Unione Europea e India messe assieme – ha fame di energia ed è intenzionato a saziarla in tutti i modi. Come si legge sul sito dell’Ispi, «il segnale che la Cina sta dando al mondo è preoccupante: Pechino continua ad andare a carbone, e di alternative nel breve periodo se ne vedono poche».
I dati dimostrano che Pechino sta spingendo sul carbone. Nel 2020 la Cina ha estratto 3,84 miliardi di tonnellate di carbone, il valore più alto dal 2015. Alla fine di ottobre, dopo vari interventi, la produzione giornaliera di carbone aveva raggiunto 11,72 milioni di tonnellate, un record negli ultimi anni. Secondo l’Eia, l’agenzia statistica e analitica del dipartimento dell’energia del governo statunitense, dal carbone la Cina ha ricavato il 58% dell’energia che ha consumato nel 2019. Nella prima metà del 2021 sono stati costruiti 18 nuovi altiforni per l’acciaio (Pechino ha una quota mondiale di produzione del 50%) e 43 centrali elettriche a carbone. Nel 2020, i combustibili fossili costituivano l’87% del mix energetico interno della Cina, con il 60% occupato dal carbone, il 20% dal petrolio e l’8% dal gas naturale. Negli Stati Uniti, l’80% del mix energetico proviene da combustibili fossili. Di questo, il 33% si origina dal petrolio, il 36% dal gas naturale e l’11% dal carbone.
E tutto questo, nonostante il gigantesco sforzo di ricorrere anche ad energie rinnovabili. Come riporta la Cnn, la Cina vanta il più grande mercato di veicoli elettrici, occupando il 38,9% della quota globale delle vendite di auto elettriche, mentre gli Stati Uniti sono fermi al 9,9%. Eolico, solare, idroelettrico, geotermico, nonché biomasse e rifiuti, “coprono” il 10% del consumo energetico della Cina.
È possibile che il motore della produzione cinese possa convertirsi e farlo in tempi brevi? Secondo uno studio citato da Bloomberg, «per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060, dovranno essere investiti qualcosa come 200 trilioni di yuan (31 trilioni di dollari), circa il 200% dell’attuale Prodotto interno lordo cinese, una media di 5 trilioni di yuan all’anno». Un impegno immane sulla quale la Cina si gioca il suo futuro “verde”. E non solo.

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