
Maksym Ryabukha, vescovo greco-cattolico di Donetsk, durante una celebrazione - Gambassi
Ha appena percorso molti dei mille chilometri del fronte che divide l’Ucraina libera dall’Ucraina caduta in mano russa. Da solo al volante dell’auto. Da Kharkiv a Zaporizhzhia passando per il Donbass. Con la talare e la croce pettorale. Perché la linea di combattimento taglia in due anche la sua diocesi: quella di Donetsk. In quasi la metà il vescovo greco-cattolico Maksym Ryabukha non può mettere piede. A cominciare dal capoluogo che dà il nome alla Chiesa locale e che fa di Ryabukha un pastore in esilio. «È una profonda ferita non poter celebrare la Pasqua con una parte della mia gente», confida.
Salesiano, 44 anni, è dallo scorso novembre il nuovo ordinario della “diocesi delle battaglie” che comprende le regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Dnipropetrovsk. Oblast segnate dall’occupazione e dall’avanzata delle truppe di Mosca che continuano a strappare nuovi territori anche al suo esarcato. Per una coincidenza di calendari, nel 2025 la solennità della Risurrezione unisce tutti i cristiani: sia quelli d’Occidente, quelli d’Oriente. Compresi gli ortodossi del patriarcato di Mosca. «È un segno del cielo. Ma qualcuno non lo ha colto per riprendere a camminare insieme», afferma Ryabukha.
La tregua di Pasqua è stata proclamata dal Cremlino sabato sera. «Un annuncio che vale niente – commenta il vescovo –. Putin vuole ingannare il mondo. Tra le parole e i fatti c’è una distanza abissale che sa di bugia. Basta vedere quello che succede. I raid sono stati intensi anche in questa Settimana Santa e confermano che appare lontana la possibilità di fermare le ostilità. Per di più si moltiplicano i bombardamenti sugli obiettivi civili. Quando penso alle persone che schiacciano i bottoni e mandano le bombe verso i quartieri residenziali, mi domando: che cosa c’è di umano in loro? Poi la Russia prospetta il reclutamento di altri 150mila soldati. Non sono certo segnali di pace, né indicano la volontà di trattare».

Maksym Ryabukha, vescovo greco-cattolico di Donetsk, con i suoi fedeli - Gambassi
Sul tavolo dei negoziati Putin intende calare le carte delle regioni conquistate: quelle della diocesi di Ryabukha. «Si tratta di terre che ci sono state sottratte, non che abbiamo lasciato volontariamente». Oblast dove la Chiesa cattolica è stata messa al bando dalle autorità russe. «È un dramma nel dramma – continua il vescovo – che viene accettato dalla comunità internazionale. E mi sorprende anche come il mondo cristiano non veda l’orrore dell’abbandono che vivono migliaia di credenti». Quelli a cui l’esarca resta vicino seppur a distanza. «Faccio arrivare sempre spunti e riflessioni. Ho inviato anche il messaggio di Pasqua. Sono parole per sostenere e incoraggiare, ben sapendo che si rischia la vita o l’arresto a essere cattolici nelle zone controllate dalla Russia».
Alla vigilia del Triduo, Ryabukha ha visitato villaggi e trincee dove si resiste all’escalation. «Non faccio distinzione fra civili e militari – chiarisce –. Tutti sono parte del popolo che mi è stato affidato. Sono grato a quanti indossano la divisa per difendere la mia vita e la mia possibilità di servire Dio e la gente». È Zaporizhzhia la città dove il vescovo presiederà le liturgie di Pasqua. Ospite il nunzio apostolico, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas. Ed è qui che Ryabukha sta costruendo sotto i missili la prima scuola cattolica della regione. «Un po’ interrata per ripararsi dai bombardamenti, un po’ normale per quando la guerra sarà conclusa – sorride –. Una classe c’è già. Vogliamo testimoniare che nessuno può fermare la vita, soprattutto dei ragazzi. E fra i banchi si pongono le basi per il futuro formando alla libertà, alla dignità, alla responsabilità».