sabato 17 dicembre 2022
Dopo gli scontri dei giorni scorsi, Belgrado chiede alla forza della Nato di dispiegare soldati al confine. Primo verdetto di colpevolezza all’Aja per crimini di guerra a un ufficiale dei ribelli
Militari polacchi della Kfor a Mitrovica

Militari polacchi della Kfor a Mitrovica - Reuters

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La prima condanna per crimini di guerra emessa alla Aja dalle Camere Speciali del Kosovo getta nuova benzina sul fuoco delle mai sopite tensioni tra Pristina e Belgrado. Salih Mustafa, l’ex ufficiale dell’Uck (l’Esercito di liberazione del Kosovo) noto come “Comandante Cali”, è stato riconosciuto colpevole di tre capi d’imputazione risalenti alla guerra contro la Serbia del 1998-1999 e condannato a 26 anni di carcere. I giudici hanno accertato il suo ruolo alla guida di un gruppo di guerriglieri che segregò almeno sei connazionali accusati di aver collaborato con i serbi in un fienile pieno di escrementi di animali nel villaggio di Zllash, vicino a Pristina.

I prigionieri furono picchiati con mazze da baseball e manganelli di ferro, ustionati e privati del cibo e dell’acqua. Mustafa partecipò personalmente al pestaggio di almeno due detenuti, uno dei quali morì in seguito alle sevizie subite. Le Camere Speciali del Kosovo – istituite nel 2015 all’Aja per giudicare i crimini di guerra della fine degli anni ‘90 – hanno emesso la sentenza dopo aver ascoltato una trentina di testimoni in 52 giorni di udienza.

Ma ciò non è bastato a evitare che le autorità di Pristina reagissero con sdegno, ritenendolo un verdetto «politico» che punta a denigrare l’operato dell’Uck e rappresenta un pericoloso precedente in vista degli altri processi a carico degli ex membri del gruppo accusati di crimini di guerra. A cominciare da quello contro l’ex presidente kosovaro, Hashim Thaci, atteso per l’inizio del 2023.
La condanna di Salih Mustafa arriva in un momento estremamente delicato per il Kosovo, in cui le tensioni con Belgrado sono tornate ad accendersi di nuovo in particolare nella città divisa di Mitrovica. Alcune settimane fa il sindaco e i rappresentanti serbi della municipalità si sono dimessi in blocco e le elezioni anticipate che dovevano tenersi domani (18 dicembre) sono state rinviate all’aprile prossimo su pressione della comunità internazionale. Nei giorni scorsi, nelle strade principali della città sono comparse barricate e sono scoppiati nuovi scontri.

Preoccupano anche le parole pronunciate due giorni fa dal presidente della Serbia, Aleksandar Vucic, in un’intervista alla tv pubblica Rts. Oltre ad affermare che Belgrado ritiene del tutto inaccettabile la domanda di adesione del Kosovo all’Ue, Vucic ha annunciato l’intenzione di inviare un migliaio di soldati e poliziotti ai valichi di frontiera, per presidiare i siti religiosi ortodossi e le aree a maggioranza serba. Sarebbe una mossa senza precedenti – almeno dalla conclusione del conflitto – anche se le risoluzioni Onu prevedono che la Serbia, per metterla in atto, debba ottenere il via libera dal Comando della missione Nato in Kosovo, Kfor. Nella stessa intervista Vucic ha ribadito poi che Belgrado resta in ottimi rapporti con Mosca e continua a essere contraria alle sanzioni occidentali contro la Russia. Quanto a Putin, ha chiosato infine, «non lo sento da mesi».

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