sabato 12 novembre 2016
Intervista al presidente Focsiv, Gianfranco Cattai. «Dobbiamo ricostruire relazioni e lavorare sul tema del perdono»
Gianfranco Cattai, presidente Focsiv

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Gianfranco Cattai, presidente Focsiv, la campagna «Humanity» vuole allargare la presenza del sistema Focsiv dal Kurdistan ad altre regioni del Medio Oriente. Perché questa scelta?

Perché i fattori che determinano la non risoluzione del conflitto armato toccano una regione quanto mai vasta ed è proprio per questo che noi, grazie alla presenza diretta o indiretta dei nostri associati, abbiamo deciso di allargare a una fetta di Medio Oriente la nostra attenzione.

Un progetto, come precisato sul sito di Focsiv, sostenuto da un consorzio. Anche questa una novità rispetto a «Emergenza Kurdistan» di cui «Humanity» è l’evoluzione. Cosa comporta questo?

Accanto ai partner che si sono impegnati nel progetto «Emergenza Kurdistan» (Acli, Auci, Azione Cattolica, Banca Etica, International Help, Iscos-Cisl, Masci, Mcl, Università Cattolica) abbiamo deciso, con altri sei soci Focsiv di costituire un consorzio di investimento, che evidentemente non va a sottrarre fondi a quanto già raccolto, con l’obiettivo di allargare l’impatto e la rete di chi effettivamente lavora in questo campo sia in Italia che sul posto.

Con quali obiettivi?

Questa nuova campagna «Essere umani con gli esseri umani» mira fondamentalmente a tre obiettivi. Innanzitutto informare e contro-informare, e sensibilizzare sul messaggio lanciato nel luglio 2016 da papa Francesco per la Siria: la pace è possibile, si può arrivare alla risoluzione del conflitto armato. Vogliamo contribuire allo sforzo dei tanti che sono già impegnati per questo, far sentire al negoziatore Onu di Ginevra, a Staffan de Mistura che sta facendo il «lavoro dell’impossibile» che non è il solo a voler arrivare almeno alla sospensione del conflitto armato. Il secondo obiettivo è quello di instaurare un dialogo inclusivo, basto sul rispetto della dignità umana, con le società locali. Per fare questo è importante, dopo aver raggiunto il primo obiettivo, che si lavori molto sul concetto del perdono reciproco, del rispetto dell’umanità di ciascuno. Il terzo obiettivo è quello che già facciamo abitualmente: sostenere i Paesi e le persone colpite dal dramma della guerra, in particolare gli sfollati, i rifugiati, le minoranze e le comunità ospitanti. Noi che facciamo tante difficoltà ad ospitare gli stranieri non ci rendiamo conto dell’impatto che hanno già i profughi sulla popolazione locale per esempio in Libano e ormai anche in Kurdistan. Proprio per questo abbiamo sentito l’esigenza di irrobustirci come azione.

Che tipo di garanzie ci sono di riuscire ad operare in Siria, dove è in corso una guerra, e in altri contesti non facili, con efficacia, libertà e indipendenza?

La risposta è complessa. Abbiamo l’esperienza del Kurdistan dove operiamo a Erbil e Kirkuk, ma a Kirkuk non direttamente, perché sappiamo che non possiamo essere fisicamente presenti. Operiamo attraverso persone del posto e affidabili che conosciamo direttamente. Questo garantisce la sicurezza dei nostri operatori, ma anche che i fondi investiti vadano a buon fine. Questo, sempre per restare al Kurdistan, non elimina il fatto che qualche segnale di allarme sulla sicurezza, ultimamente, sia stato recepito pure ad Erbil. In altri Paesi i soci del consorzio hanno operatori locali, quindi non italiani, che sono più tutelati e conoscono bene la situazione locale. In questo modo si creano competenze specifiche e interventi mirati, come ad esempio quello dei fratelli maristi per il progetto della distribuzione dell’acqua ad Aleppo.

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