sabato 21 giugno 2025
Tra le varie accuse contro il gruppo fondato da Figari e ora sciolto anche il furto di terreni ai danni della comunità indigena di Catacaos: «Robert Prevost è stato tra i pochi ad ascoltarci»
La comunità indigena di Catacaos, nel nord del Perù

La comunità indigena di Catacaos, nel nord del Perù - .

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La sabbia è candida. Al fondo, però, non c’è il mare. Solo dune che sembrano rincorrersi all’infinito. Orme di piedi scompaiono e ricompaiono, rivelando la presenza umana. Pian piano, nella luce evanescente del tramonto, spunta una “majada”, rifugio in cui dimorano pastori e contadini Tallán. Sono loro il popolo del “deserto bianco”. Trentamila indigeni divisi in piccoli gruppi sull’altopiano arido della regione di Piura: uno di questi è la comunità di San Juan Bautista di Catacaos, raggiungibile solo in motocarrozzella. Le sue duecento famiglie hanno festeggiato l’8 maggio scorso quando - con un po’ di ritardo a causa delle difficoltà di ricezione del cellulare - hanno sentito risuonare il nome di Robert Prevost in diretta globale. «È arrivata la giustizia divina! Quella umana ci ha abbandonati. Non sa quanti sforzi abbiamo fatto per pagare degli avvocati che poi ci ingannavano…. Ma Dio ci è venuto in soccorso», dice con visibile emozione Paola Sandoval.

È stato il Sodalicio de vida cristiana a far incrociare i percorsi di questo frammento remoto e povero di Perù con quelli di due Papi: Francesco e Leone XIV. Entrambi sono stati tra i pochi a rifiutare, dentro e fuori la Chiesa, di volgere lo sguardo dall’altra parte di fronte ai soprusi, sempre più evidenti, della società di vita apostolica ultra-fondamentalista, fondata nel 1971 dal laico Luis Carlos Figari e diventata sempre più potente grazie ai rapporti con l’élite politica ed economica. Lo scandalo è esploso nel 2015 grazie al libro-inchiesta “Mitad monjes, mitad soldatos” (Planeta) della giornalista Paola Ugaz e del collega, nonché ex membro del gruppo, Pedro Salinas. Per il loro lavoro, entrambi hanno subito denunce e vessazioni, come racconta ora "Proyecto Ugaz", spettacolo teatrale in scena a Lima. Nell'occasione, Leone XIV ha inviato un messaggio in cui ringrazia i giornalisti che cercano la verità. «Ovunque un giornalista venga messo a tacere, si indebolisce la democrazia». E ha sottolineato l'importanza di «Radicare in tutta la Chiesa una cultura della prevenzione che non tolleri alcuna forma di abuso: né di potere o di autorità, né di coscienza o di spiritualità, né di abuso sessuale».

«In seguito, ci siamo resi conto che c’era perfino di più degli abusi fisici e psicologici: loschi giri di affari che avevano consentito a Sodalicio di accumulare un patrimonio di oltre un miliardo di dollari», sottolinea la reporter che ha in programma un nuovo saggio sul tema. In questa rete sarebbe rimasta intrappolata anche la comunità di Catacaos. «Nel 1998, con la complicità di alcuni abitanti e evidenti raggiri, i suoi terreni sono stati ceduti a una serie di imprese legate a Sodalicio e a uno dei suoi uomini principali, il precedente vescovo di Piura e Tumbes, José Antonio Eguren. A partire dal 2011, i pastori hanno iniziato a ricevere le ingiunzioni di sgombero», spiega Carlos Rodríguez della Coordinadora nacional de derechos humanos, rete di oltre 70 organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani. «Chi rifiutava di andarsene – prosegue – subiva vessazioni e minacce: una trentina di contadini è stata denunciata per usurpazione, furto aggravato, perfino terrorismo. Casi montati ad arte per spaventarli, come conferma la successiva archiviazione».

Il loro grido, unito a quelle delle decine di sopravvissuti alle violenze, è riuscito ad arrivare in Vaticano anche grazie al sostegno dell’allora vescovo di Chiclayo poi diventato prefetto del Dicastero per i vescovi. Una conferma indiretta sono le false accuse di avere coperto un sacerdote accusato di abusi mosse contro di lui prima del Conclave dalla galassia di media vicini al Sodalicio. Gli interessati non hanno dubbi. «Questo processo ha coinvolto due Pontefici: Francesco, che ha preso decisioni chiave, e Leone XIV che, prima di essere eletto Papa, ci ha appoggiati», si legge nel primo comunicato congiunto tra tutte le vittime dell’organizzazione per chiedere al nuovo Vescovo di Roma di riceverli e di proseguire «sulla strada intrapresa». Snodo centrale del percorso è stata la missione di monsignor Charles Scicluna e di padre Jordi Bertomeu, nell’estate 2023, per fare luce sulla vicenda. «Il 26 luglio, sette rappresentanti della comunità si sono recati nella capitale per incontrarli – racconta Marcelino Ynga, uno dei leader di San Juan Bautista de Catacaos –. Siamo rimasti con loro dalle 9 alle 14. Abbiamo descritto nei dettagli come ci maltrattavano per cacciarci. A sostegno delle nostre accuse, abbiamo portato un pacco pieno di prove e documenti. Alla fine erano commossi».

«Per la prima volta qualcuno ci ha davvero ascoltati», dice tra i singhiozzi Fiorela Martínez, moglie di Guadalupe Zapata, ucciso l’8 dicembre 2011 da un commando spedito a espellere i contadini. «Dopo la riunione che ci ha dato fiducia, il 28 febbraio successivo, su consiglio di Paola Ugaz, abbiamo scritto a monsignor Prevost rivolgendogli tre richieste: la rimozione del vescovo di Piura, lo scioglimento di Sodalicio e l’avvio di un processo di riparazione per le vittime – sottolinea Rodríguez -. Come nel suo stile, ha risposto con i fatti. Il 2 aprile 2024, la Santa Sede ha accettato le dimissioni anticipate di Eguren. In realtà era stato il Vaticano a chiedergli di farsi da parte, come ha affermato lui stesso in più occasioni». L’uscita di scena di quest’ultimo ha segnato l’inizio della fine di Sodalicio, dissolto definitivamente il 14 aprile scorso. Uno degli ultimi decreti firmati da papa Francesco il quale, un anno prima, nel giorno dell’anniversario della fondazione, aveva inviato un video-messaggio di saluto alla comunità, esortandola a «non lasciarsi rubare la terra»La minaccia persiste. Per questo, i contadini di Catacaos sperano nel lavoro di padre Bertomeu, commissario pontificio per la liquidazione di Sodalicio, di cui hanno chiesto al Vaticano di sostenere il lavoro. Molti beni dell’organizzazione potrebbero, però, essere stati investiti in società offshore negli Usa. Da qui la richiesta di andare avanti nell’idea, già espressa da Bertomeu, di portare il caso di fronte alla giustizia statunitense.

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