sabato 14 giugno 2025
Natanz e Fordow gli impianti principali, a cui si aggiungono tre miniere e quattro reattori. Innegabile la politica di proliferazione militare di Teheran, ma il Paese è ancora indietro
L’impianto di arricchimento di Fordow

L’impianto di arricchimento di Fordow - Ansa

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Il programma nucleare iraniano è iniziato negli anni Sessanta, quando, sotto lo scià Reza Pahlavi, gli Stati Uniti costruirono il primo reattore di ricerca a Teheran, ancora oggi utilizzato per produrre isotopi medicinali. La svolta, però, la si ebbe nel 1975, quando la neocostituita Atomic Energy Organization of Iran (Aeoi) avviò la costruzione della prima centrale ad uso civile, quella di Bushehr con l’aiuto dell’allora Germania Ovest. La rivoluzione islamica, l’iniziale contrarietà degli ayatollah al nucleare (tecnologia che avrebbe legato il Paese al blocco sovietico od occidentale) e, soprattutto, la guerra con l’Iraq, fece sospendere il programma che venne ripreso negli anni Novanta con l’aiuto della Russia e della Cina.

Il reattore di Bushehr, un Vver russo da 1.000 MW, fu collegato alla rete elettrica nazionale nel 2011, ma nel frattempo l’Iran avviò, con l’aiuto del Pakistan e della Corea del Nord, un parallelo sviluppo atomico militare nascondendolo agli ispettori dell’Iaea. Nel 2018, nonostante gli accordi del Jcpoa (Piano di azione onnicomprensiva congiunto) secondo cui l’Iran non avrebbe costruito alcun impianto di acqua pesante e avrebbe smantellato i due terzi degli impianti di arricchimento non superando il grado di arricchimento di uranio-235 al 3,67%, Teheran perseguì la sua politica di proliferazione militare. La scoperta di siti militari non dichiarati ufficialmente all’Aiea, assieme agli attacchi israeliani iniziati nel 2018, costrinse gli ayatollah ad ammettere le violazioni.

Oggi l’Iran, oltre alla centrale di Bushehr, in cui si sta ultimando la costruzione di altri due reattori Vver costruiti dalla Rosatom russa e che comunque è dedicata a produrre energia a scopi civili, sta sviluppando un programma nucleare militare assai più avanzato di quanto si pensasse fino a pochi anni fa. Si articola su almeno altri due siti operativi (Fordow, Natanz), a cui si aggiungono tre miniere di uranio, quattro reattori di ricerca a Teheran, Bonab, Ramsar e Isfahan e il reattore ad acqua pesante di Arad che, se svincolato dall’attuale monitoraggio dell’Aiea, potrebbe produrre plutonio-239.

Il cuore del programma iraniano sono i siti sotterranei di Natanz e Fordow che ospitano gli impianti di arricchimento, indispensabili per raggiungere il 90% di uranio-235 necessario per produrre gli ordigni nucleare. Ad oggi si stima che l’Iran abbia raggiunto un grado di arricchimento di uranio pari al 60%, ancora troppo basso per realizzare una bomba, ma un chiaro segnale della capacità e volontà di Teheran di entrare nel novero delle potenze nucleari. L’Iran ha prodotto 408 chilogrammi di uranio arricchito al 60%, 134 kg in più di quanto ne aveva nel febbraio 2025, segno che il programma nucleare sta progredendo velocemente.

Il centro di ricerca nucleare di Isfahan è il principale fornitore di esafluoruro di uranio materia prima per le centrifughe che arricchiscono l’uranio nei siti di Natanz e Fordow. L’Aiea ha inoltre individuato altri quattro siti non ufficialmente dichiarati dall’Iran: quello di Turquzabad, Varamin, Marivan e Lavisan-Shian, in cui gli ispettori internazionali hanno rivelato tracce di uranio, segno che le aree sono state utilizzate all’interno del programma nucleare.

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