Il coraggio di osare passi alternativi
Oggi, festa dei santi innocenti, non è possibile guardare alla “grande gioia” che l’angelo annunzia ai pastori senza vedere lo scenario in cui essa si colloca: è tempo di osare dialogo e pace

Oggi, festa dei santi innocenti, non è possibile guardare alla “grande gioia” che l’angelo annunzia ai pastori nel Vangelo di Matteo senza vedere lo scenario in cui essa si colloca, quell’«età selvaggia, del ferro e del fuoco» di cui parla il Censis, i tanti conflitti che insanguinano il pianeta. Le prove di forza, la violenza slegata dal diritto, le guerre, sono la nuova normalità, tanto simile alla vecchia. E gli innocenti che muoiono sono migliaia.
La Chiesa, appena tre giorni dopo il Natale, ricorda la “strage degli innocenti”. Gesù viene in un mondo da salvare, tra “pianti” e “lamenti grandi”, mentre le Rachele di ogni stagione della storia “piangono i loro figli”. La strage dei bambini che stavano a “Betlemme e in tutto il suo territorio” ha colpito generazioni di cristiani e ha ispirato un impressionante numero di artisti perché ogni epoca vi ha trovato una rispondenza con il proprio tempo. Il Natale ci parla di Erode così come la Pasqua ci parla di Pilato. C’è un filo nero nella storia. Ma anche uno bianco. Ci sono spazi e percorsi di pace che non vediamo, come ha sottolineato di recente Tommaso Greco su Avvenire. E poi «l’opera di Dio continua nel mondo, diventando persino più percepibile e luminosa nell’oscurità dei tempі», ha scritto papa Leone nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2026. Nella vicenda umana tenebre e luce si affrontano, ma – sottolinea il Papa con parole bellissime – «mentre al male si grida "basta", alla pace si sussurra "per sempre". In questo presentimento vivono le operatrici e gli operatori di pace che, nel dramma di quella che papa Francesco ha definito "terza guerra mondiale a pezzi", ancora resistono alla contaminazione delle tenebre, come sentinelle nella notte».
La gente, i popoli, dicono “Basta!” al male della guerra. Ma – è vero – c’è chi, come Erode, sceglie la violenza. E c’è chi, come troppi responsabili politici, troppi manipolatori del discorso pubblico, propone una normalizzazione dell’idea di conflitto; suggerisce il si vis pacem para bellum, il “realismo” del riarmo, se non del colpo preventivo. Ovvero una resa al fascino oscuro della guerra, un’accettazione del suo millenario ripresentarsi sulla scena della storia. Non un “Basta!”, allora; ma un “Ancora”, magari temperato da un “Purtroppo!”. È forse un’esagerazione? Eppure, la tensione unitiva del passato è dimenticata, il multilateralismo appare come un impaccio, il negoziato diventa intelligenza con il nemico, l’approfondimento delle questioni debolezza. Su tutto domina un impasto di propaganda e di tifo da stadio, come se si fosse in un gioco di ruolo, come se la vita e la morte delle persone potesse essere decisa con qualche slogan. In Europa – è sotto gli occhi di tutti – si diffonde un’isteria bellicista, quasi fossimo già in guerra e le voci più riflessive o più moderate silenziate o censurate. Ha detto il papa all’Angelus il 26 dicembre: «Chi oggi crede alla pace e ha scelto la via disarmata di Gesù e dei martiri è spesso ridicolizzato, spinto fuori dal discorso pubblico e non di rado accusato di favorire avversari e nemici».
Con tale tradimento della ragione e della parola si entra in un territorio sconosciuto, primordiale e pericoloso. Procedendo da sonnambuli si sceglie – oggi – non solo di gridare, ma nemmeno osare dire “Basta!” al male della guerra. Il papa ci avverte: «Finiamo per non considerare scandaloso […] che si faccia la guerra per raggiungere la pace». E segnala che mancano «le idee giuste, le frasi soppesate, la capacità di dire che la pace è vicina», nel quadro di «una destabilizzazione planetaria che va assumendo ogni giorno maggiore drammaticità e imprevedibilità». È con la “neolingua” dell’emergenza che si sfodera la spada. È con la riduzione a una sola delle possibili opzioni che si crea il destino. È così che si fa strage dell’innocenza di chi aveva scelto di ripudiare per sempre la guerra. C’è davvero bisogno di recuperare l’aspirazione di pace che ha nutrito la generazione che aveva conosciuto la guerra, di tenere presente che i drammi del passato sarebbero tanto più tragici nella nostra era atomica. Si tratta di ricordarlo e di ripeterlo in tutte le sedi e le occasioni, a rischio di passare per ingenui sognatori. Si tratta, da credenti e da chiunque abbia a cuore il futuro del mondo, di osare passi di dialogo e di pace.
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