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Tutti lo invocano, nessuno lo rispetta e pochi sembrano crederci veramente. Il diritto internazionale è insieme il grande assente e il convitato di pietra dell’ultimo fronte di guerra, quello tra Israele e Iran. È così da più di vent’anni, a dir la verità. Dall’attacco alle Torri Gemelle con la conseguente offensiva americana in Afghanistan, fino al pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023 e al successivo piano di distruzione di Gaza perpetrato dal governo Netanyahu, passando per l’invasione russa in Ucraina. Non c’è azione militare in cui non si invochi, a parole, il rispetto delle regole stabilite dalla Carta dell’Onu e in cui puntualmente non si finisca per violarle. Ma cosa stabiliscono queste norme? E perché sembrano sempre più spesso carta straccia?
«La legittima difesa è un principio che resta valido», premette Chiara Ragni, ordinaria di Diritto internazionale all’Università degli Studi di Milano, in riferimento all’azione ordinata dal premier Benjamin Netanyahu una settimana fa contro Teheran. «Il punto è che la legittima difesa va esercitata sapendo che l’articolo 2 paragrafo 4 della Carta vieta l’uso della forza tra le nazioni. Ad eccezione, appunto, del diritto di autodifesa». Ma esiste una legittima difesa preventiva? Il nodo è proprio questo. «Devono esserci prove chiare ed evidenti di un pericolo imminente perché si legittimi una risposta militare come quella a cui stiamo assistendo - risponde Luca Masera, docente di Diritto penale all’Università di Brescia -. Mi sembra chiaro che nell’attacco di Israele all’Iran queste caratteristiche non ci fossero».
Dalla guerra preventiva a oggi
Se stiamo alla ricostruzione dei fatti, la motivazione ufficiale dell’attacco va ricercata nella dichiarazione dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, secondo cui l’Iran stava arricchendo l’uranio a un livello superiore a quello dichiarato, in maniera tale da avvicinarlo alla possibilità di costruire la bomba nucleare. Era una ragione sufficiente per muovere l’arsenale bellico a disposizione dell’Idf? «Bisogna vedere se la minaccia era impellente, e così non pare dagli ultimi riscontri, e se l’uso della forza armata era legittimo in questa misura» osserva Ragni. Secondo quanto dichiarato da Ben Saul, relatore speciale dell’Onu sull’antiterrorismo, «Israele ha rivendicato abusivamente un diritto all’autodifesa, che non esiste in queste circostanze». Ma quando mai è stato possibile invocare questo principio per poi applicarlo correttamente sul campo? Masera ricorda la prima guerra del Golfo nel 1990-91, quando George Bush senior guidò una coalizione internazionale per liberare il Kuwait dopo l’invasione nel Paese dell’Iraq di Saddam Hussein. Una reazione giustificata, a norma di diritto, secondo gli esperti. «Ora invece siamo di fronte a una situazione più simile a quella del 2003, quando Colin Powell si presentò alle Nazioni Unite esibendo in una fialetta la cosiddetta prova delle armi chimiche. Era un modo per giustificare l’intervento militare di George Bush figlio nello stesso Paese, ma le informazioni diffuse in quel caso furono per stessa ammissione di Powell (alcuni anni dopo) del tutto false». Erano i tempi della “guerra preventiva”, che già segnava in embrione l’anticipo di questa fase storica. «Laddove il pericolo è attuale e non frutto di una congettura, la legittima difesa può essere usata. In tutti gli altri casi no» conferma il giurista dell’Università di Brescia. Secondo Ragni, «il diritto internazionale non vorrebbe mai che le risposte degli Stati sfociassero in un uso della forza. E poi - aggiunge - ammesso che ricorrano anche i requisiti per un attacco militare, resta la questione della proporzionalità nella risposta all’offesa ricevuta».
Il nodo del diritto umanitario
L’altro aspetto da considerare, quando si apre uno scenario bellico, è che la reazione militare deve sottostare alle regole del diritto internazionale umanitario, «che si fonda sul principio di distinzione tra obiettivi militari e persone che non partecipano alle ostilità, con la finalità di salvaguardare la vita dei civili» osserva la docente della Statale. Da Gaza all’Ucraina, è un tema quanto mai d’attualità, su cui solo le organizzazioni non governative hanno posto l’accento in questi anni di disordine globale permanente.
Papa Leone XIV ha ripetuto con chiarezza, due giorni fa, il suo appello a deporre le armi, «in nome della dignità umana e del diritto internazionale». La difesa della Carta delle Nazioni Unite è strategica per chi ha a cuore il futuro delle istituzioni mondiali, indebolite dal prevalere recente della legge del più forte. «Il diritto internazionale è vivo e vegeto. Forse non gode di buona salute, ma ha ancora parole chiare da dire» sottolineano Masera e Ragni. Semmai è giusto ripensare al funzionamento di quei simboli che mostrano ormai i segni del tempo, a partire dalle Nazioni Unite.