martedì 26 gennaio 2010
Già prima del sisma la situazione era drammatica: una giovane su tre aveva subito violenze. Ed erano almeno 100mila le «bambine schiave» vendute dai genitori a famiglie benestanti, dove finivano per essere abusate. Viaggio nell'inferno delle donne.
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    Ogni giorno una decina di uomini – la maggior parte scalzi, i più fortunati con ciabatte di plastica – passeggia fra le tende dei campi profughi, con passo deciso e un bastone in pugno. Di tanto in tanto la gente si affaccia e saluta con rispetto. La “brigade”, ormai, è un punto di riferimento a Carrefour, popolosa e poverissima città-dormitorio nella sterminata cintura urbana di Port-au-Prince. Non è una vera pattuglia ma una “milizia spontanea” di cittadini. Ne fanno parte uomini adulti non feriti dal sisma, che qui – dato che l’epicentro era situato nei dintorni – ha distrutto oltre l’80 per cento degli edifici. L’obiettivo è difendere chi – tre quarti del mezzo milione di abitanti – è rimasto senza abitazione. Ed è costretto a dormire per strada. Soprattutto le ragazze, più esposte al rischio di abusi e violenze. Fin dalle prime ore dopo il disastro, Amnesty International aveva lanciato l’allarme. Sono le donne – insieme ai bambini – le vittime più vulnerabili della tragedia . «Sono sole, hanno perso mariti, fratelli, padri. Non c’è nessuno che possa proteggerle», dice Malia Joseph, assistente sociale nella tendopoli principale di Carrefour. Già prima del sisma, Haiti aveva una percentuale di violenze sessuali drammaticamente alta: oltre il 30 per cento – una donna su tre – secondo lo studio realizzato dal Banco Interamericano del Desarrollo nel 2006. La metà era minorenne. E negli anni successivi la situazione – dicono varie Ong – non è migliorata. Miseria estrema, degrado, promiscuità generano violenza, in famiglia e fuori. Gli abusi consumati sotto i tetti di lamiera delle sovraffollate baracche haitiane erano, prima del 12 gennaio, sterminati. Le “bambine-schiave”, vendute dai genitori a famiglie benestanti, erano 100mila. La maggior parte di loro veniva violentata sistematicamente dai “padroni”. Il terremoto ha reso ancora più insostenibile la condizione femminile. Il caos, la presenza di bande armate e la difficoltà della polizia a garantire la sicurezza ha generato il panico tra le sfollate. «Hanno paura di allontanarsi dalle tende, anche solo per andare a prendere l’acqua. E nemmeno qui sono al sicuro», racconta Malia. Otto giorni fa, due ragazze si sono presentate al sinistrato commissariato di Carrefour per denunciare un intento di aggressione. Gli agenti erano impegnati nei soccorsi e nessuno ha avuto tempo di ascoltarle. Così, è nata l’idea della “brigade”. «Controlliamo le donne sole. Sono tante, soprattutto ragazzine. In modo che la gente capisca che non possono farne ciò che vogliono – dice Joyce, un membro della squadra –. Cerchiamo anche di aiutarle perché non siano costrette a prostituirsi per avere cibo o coperte». Finora sono pochi i casi di stupri denunciati: una decina a Cité Soleil – di cui ha dato notizia la stampa locale –, tre in centro. Il numero reale, però, non si conoscerà mai, perché le violenze quasi mai vengono ammesse e denunciate. Alto è anche il tasso di donne morte di parto dopo il sisma. Le macerie impediscono loro di raggiungere gli ospedali. Medici e infermieri, poi, sono spesso costretti a dare la precedenza ai feriti. Medici senza frontiere ha allestito tende provvisorie per le partorienti, ma le richieste sono troppe. Al momento, secondo fonti umanitarie, ci sarebbero 37mila donne incinta nella capitale. Partorire ad Haiti è da sempre una sfida. Il Paese ha il più alto tasso di mortalità materna d’America: 670 decessi ogni mille nati. Le morti delle ultime due settimane rischiano di far crescere ulteriormente il terribile dato.
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