
Da sinistra: Giulio Tremonti, Laura Boldrini, Emanuele Loperfindo - .
La tregua a Gaza è appesa a un filo che rischia drammaticamente di essere tranciato dalle azioni militari israeliane spostate da Gaza in Cisgiordania. «Speriamo che l'accordo possa procedere fino alla terza fase, perché il timore è che dopo questa prima non si arrivi alla pace», dice Laura Boldini, presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo. «Alla tregua a Gaza - spiega la deputata del Pd - non può corrispondere un'accelerazione delle operazioni militari in Cisgiodania. Questo accordo non può restare sulla carta. Serve un lavoro politico della Comunità internazionale. Serve l'Europa, che finora ha fatto poco».
Di ritorno dalla missione in Israele e Cisgiordania - che dal 12 al 16 gennaio ha visto Boldrini e il collega di Fdi Emanuele Loperfido incontrare i familiari delle vittime israeliane dell'attacco di Hamas e delle vittime palestinesi dell'occupazione militare dell'Idf - il Comitato diritti umani è al lavoro per una relazione che sarà illustrata alla commissione Esteri di Montecitorio dal suo presidente Giulio Tremonti di Fdi, presente alla conferenza. All'incontro per raccontare le testimonianza raccolte, il Comitato permanente lancia un appello al governo e all'Unione europea perché si impegni ad evitare il fallimento della tregua.
Giulio Tremonti spiega che «la Commissione Esteri, concordi tutti i gruppi, ha convenuto sull'opportunità di svolgere una missione della presidente del Comitato, Laura Boldrini, e del vicepresidente, onorevole Emanuele Loperfido, supportata dalla rete diplomatica della Repubblica italiana. Oggi anticipiamo i contenuti del lavoro della missione e come previsto una relazione sarà presentata in Commissione nei prossimi giorni e sarà oggetto di dibattito». Aggiungendo poi che «a Gaza non è solo una questione di ricostruzione edilizia, il problema è costruire uno Stato. Ed è fondamentale l'opzione politica che vada verso la creazione di due stati»
«Abbiamo incontrato le istituzioni israeliane e palestinesi, cioè l'Autorità nazionale palestinese - racconta Laura Boldrini - e parlato con le vittime delle violenze e degli abusi sui diritti umani, con le associazioni e con gli organismi non governativi di entrambe le parti. La conclusione è che il 7 ottobre è stato davvero uno spartiacque, perché da allora nulla è più come prima. Per la gravità di quello che è accaduto quel giorno e dopo quel giorno. Il 7 ottobre sono state uccise 1.200 persone innocenti e rapite 251 in un attacco terroristico spietato di Hamas. Dal giorno dopo sono state uccise altre 47 mila persone, la rivista scientifica Lancet parla addirittura di 70 mila. Migliaia ne stanno tirando fuori ora dalle macerie, uccise dai bombardamenti israeliani indiscriminati, abbiamo visto persone morire di fame e di malattie, oltre il 60% delle infrastrutture della Striscia sono andate distrutte e il 90% della popolazione sfollata».
Il vicepresidente della Commissione diritti Emanuele Loperfido racconta di come «oggi Gerusalemme è completamente deserta di turisti e questo ha ricadute economiche molto gravi. I sopravvissuti del kibutz di Niroz, che abbiamo incontrato, chiedono aiuto all'Italia, vista come nazione amica e capace di conciliare. Chiedono l'aiuto del nostro Paese per facilitare una convivenza pacifica. La stessa richiesta dal cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, la stessa dai palestinesi. "L'Italia può aiutarci - ci hanno detto - abbiamo fiducia nel vostro paese". Stabilizzare l'area può generare sicurezza e sviluppo e prevenire la fuga di tanti giovani dalla regione». La speranza per il raggiungimento dell'accordo, annunciato mentre i membri della Commissione diritti umani erano in Israele, è stata subito ridimensionata dall'avvìo delle operazioni militari in Cisgiordania. «Secondo alcuni osservatori locali - dice Boldrini - Netanyahu avrebbe ceduto su Gaza proprio per poter spostare l'azione in Cisgiordania».
La presidente del Comitato diritti umani racconta dell'incontro con i sopravvissuti del kibbutz Nir Oz. «Sono stati attaccati alle 6 e 30 di mattina e si sono barricati nelle safe rooms, che putroppo non avevano porte blindate, così i proiettili le hanno perforate uccidendo persone. Si sono difesi da soli, l'esercito è arrivato alle 14 e 30». Otto ore dopo. Poi la reazione militare israeliana: «Si sono rotti gli argini, è stata la peggiore delle guerre, a confini chiusi, nessuno poteva mettersi in salvo. Le forze israeliane hanno infranto le regole internazionali dei conflitti, commettendo crimini orrendi. Ex membri dell'esercito dicono che c'è stato un cedimento della disciplina militare. Ora mentre tutti con la tregua guardavano a Gaza, in Cisgiordania sono stati uccisi oltre 700 palestinesi. Alla tregua a Gaza non può corrispondere un'accelerazione militare in Cisgiordania».
Drammatica la situazione detentiva: «Gli avvocati palestinesi spiegano che la metà dei 10 mila detenuti palestinesi sono in detenzione amministrativa, cioè senza accuse né processi. Nelle carceri israeliane le violenze sono diventate sistematiche, il cibo è stato drasticamente ridotto, le medicine vengono negate, durante la detenzione sono morte oltre 60 persone». Associazioni e parlamentari israeliani - riferiscono la presidente e il vicepresidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani, - «denunciano la riduzione degli spazi democratici: divieto di manifestare, arresti di manifestanti e di obiettori alla leva militare, mesi di sospensione dalle attività della Knesset dei parlamentari israeliani che hanno criticato Netanyahu».
Tutto questo ha reso praticamente impossibile il dialogo tra le due parti. «Israeliani e palestinesi sono troppo feriti per potersi parlare. È un processo che non può essere lasciato in mano solo a loro. Nessuno è disposto a considerare le ragioni dell'altro. Questo è un compito che deve assumersi la Comunità internazionale. Ci hanno chiesto che l'Unione europea si impegni ad accompagnare questo processo. E che l'Italia ora non si tiri indietro». L'obiettivo, conclude Laura Boldrini, «è la risoluzione Onu del 1947, due popoli e due stati. Se non accadrà, ne saremo tutti responsabili».