mercoledì 13 novembre 2013
​A un anno e mezzo dal ritorno al potere, la sinistra vive una storica crisi di credibilità. I cortei sono all’ordine  del giorno. E il 67 per cento dei francesi vuole un nuovo esecutivo.
Come si fa la pace di Giulio Albanese 
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​In esecutivo socialista sempre più in affanno; un singhiozzo continuo di proteste di piazza a Parigi e non solo; esponenti della stessa maggioranza che pretendono la caduta del premier Jean-Marc Ayrault, tanto che c’è già chi ipotizza i nomi di possibili sostituti, come la ex leader del partito socialista, e attuale sindaco di Lille, Martine Aubry, o il ministro dell’Interno Manuel Valls.In Francia, a un anno e mezzo dal ritorno della sinistra al timone, la crisi di credibilità del potere centrale conosce un’accelerazione che ha spiazzato ogni previsione. E questo, paradossalmente, dopo le celebrazioni per l’armistizio della Grande guerra, il solenne e patriottico 11 novembre che è rosso nei calendari francesi. Il presidente François Hollande si è appena ritrovato in due situazioni del tutto inedite nella storia della Quinta Repubblica. Sugli Champs-Elysées per onorare i caduti, il capo dell’Eliseo è stato abbondantemente fischiato da contestatori molto eterogenei, dove figuravano gruppuscoli di facinorosi ultranazionalisti, come sottolineato subito con sdegno dal governo, ma pure i “berretti rossi” che simboleggiano da settimane le proteste vigorose in Bretagna contro le chiusure di fabbriche e la pressione fiscale, in particolare il tributo autostradale “ecologico” sui tir. Gruppi di manifestanti che chiedevano le dimissioni di Hollande si sono scontrati con la polizia, che ha poi fermato 73 persone. In mezzo alle polemiche sui fermi anche di oppositori alle nozze gay, è poi giunto come un colpo di scure un sondaggio Ipsos che attesta la caduta brutale della popolarità presidenziale al 21%: un valore non solo mai raggiunto in Francia, ma pure di molto inferiore rispetto ai precedenti record d’impopolarità già battuti dall’ex inquilino dell’Eliseo, il neogollista Nicolas Sarkozy, mai sceso comunque sotto il fatidico 30%. Prima dell’arrivo di Hollande al potere, molti giudicavano i vecchi record «incomprimibili», tanto è forte l’aura istituzionale che circonda il cosiddetto «monarca repubblicano». In questo clima, un deputato ben noto della maggioranza socialista, Maleh Boutik, è uscito ieri allo scoperto, chiedendo fermamente la chiusura dell’attuale capitolo governativo e le dimissioni del premier: «Il governo sembra essere divenuto sordo, ma anche non essere più ascoltato. Il dialogo si è spezzato. Occorre inviare un segnale d’emergenza ai francesi per ristabilire il dialogo. Quest’emergenza deve tradursi in un rimpasto di governo. Sì, occorre rimuovere il primo ministro in fretta», ha detto in un’intervista al Parisien, il quotidiano più letto della capitale. Ma anche il 67 per cento dei francesi, secondo un sondaggio, vuole un nuovo governo. Jean-Luc Melenchon, del Front de Gauche, ha definito il primo ministro «un errore di casting», la probabile futura sindaco di Parigi, la socialista Anne Hidalgo, ha chiesto una squadra di governo «più compatta, più mirata, più mobilitata». «Ho un compito difficile – ha reagito Ayrault – ma niente mi fa paura».Per il noto politologo Guy Groux, c’è un malcontento «tanto più incisivo in quanto tocca tutte le categorie sociali», a cominciare dal ceto medio. Le voci su un rimpasto in vista corrono da tempo, ma la schiettezza di Boutih esprime il clima parossistico delle ultime ore. Accanto alle proteste in Bretagna, Parigi non sembra più uscire da una serie di manifestazioni, con cadenza quotidiana, contro i balzi dell’Iva e di altre imposte, ma pure per biasimare le contraddizioni di certe riforme, in particolare nella scuola. Fra le ultime proteste di categoria in corso o annunciate, proprio quelle di insegnanti e animatori scolastici, ma anche di artigiani, ostetriche, tabaccai, personale dei centri ippici. E intanto, sui siti Internet, spopolano le satire sulla pressione fiscale socialista.
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