mercoledì 15 novembre 2017
La premier inglese Theresa May ha attaccato duramente il Cremlino, accusandolo di interferire nelle democrazie occidentali Twitter utilizzato per «seminare odio razziale e divisioni»
La foto «scandalo» L’immagine della discordia viene scattata il 22 marzo a Westminster subito dopo l’attacco terroristico E postata su Twitter con tanto di messaggio: «Questa donna musulmana non si interessa all’attacco terroristico, cammina  con noncuranza accanto a un uomo moribondo mentre controlla  il telefono». La verità della foto  è finalmente emersa: a inviarla  fu un troll russo (Fonte Twitter)

La foto «scandalo» L’immagine della discordia viene scattata il 22 marzo a Westminster subito dopo l’attacco terroristico E postata su Twitter con tanto di messaggio: «Questa donna musulmana non si interessa all’attacco terroristico, cammina con noncuranza accanto a un uomo moribondo mentre controlla il telefono». La verità della foto è finalmente emersa: a inviarla fu un troll russo (Fonte Twitter)

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L’immagine fa il giro del mondo, schizzando sulle “ali” rapide dei social network. È il 22 marzo. A Westminster, Londra, si consuma l’ennesimo attacco terroristico. Un uomo di 52 anni lancia prima la sua auto contro i pedoni sul ponte, uccidendo quattro persone. Poi scende impugnando un coltello. L’intervento delle forze dell’ordine è immediato, così come è quasi istantanea la “copertura” mediatica dell’evento. Una foto ritrae un gruppo di persone al capezzale di una delle vittime. A sinistra appare una donna, con un velo, che cammina guardando il cellulare.

L’immagine viene postata su Twitter accompagnata dagli hashtag #BanIslam e con tanto di messaggio: «Questa donna musulmana non si interessa all’attacco terroristico, cammina con noncuranza accanto a un uomo moribondo mentre controlla il telefono». A nulla servono le parole dell’autore dello scatto, Jamie Lorriman, intervenuto per difendere la ragazza: la giovane con l’hijab era in realtà «traumatizzata e sconvolta». L’immagine diventa rapidamente un’“icona” della presunte indifferenza degli islamici nei confronti del terrore. Oggi, a distanza di mesi, si apprende il vero “volto” dell’operazione che si cela dietro quella foto: una mistificazione, un atto di propaganda, un guerra ideologica. Con un obiettivo e un mandante. L’“obiettivo” è stato svelato, pochi giorni fa, da Damian Collins, leader della commissione britannica che sta indagando sul dossier delle “fake news” – le notizie confezionate ad arte per inquinare il dibattito politico –: «Si tratta – ha spiegato – di influenzare la discussione politica nel Regno Unito, di far penetrare l’odio e mettere le co- munità l’una contro l’altra».

Ma dove è partito il massaggio? L’account da cui è iniziato tutto, @Southlonestar, è un troll russo, uno dei 2.700 account falsi creati in Russia. Ma non basta. Il profilo falso russo, prima di essere chiuso, ha continuato a imperversare “sposando” la campagna pro-Brexit. Non certo da solo: almeno 13mila “bot” – account fasulli che non rispondono a persone fisiche – di Twitter hanno tempestato la campagna per uscire dalla Ue. Non è un caso isolato. Tutt’altro. Esisterebbe una vera e propria “centrale” – aggressiva e tentacolare – riconducibile alla Russia, pronta a giocare (e pesantemente) su tutti i tavoli. Come dimostra il caso americano. Come riporta un’inchiesta di Wired, in piena campagna elettorale a stelle e strisce, gli annunci russi su Facebook hanno raggiunto qualcosa come 126 milioni di americani, quasi la metà della popolazione del Paese.

È toccata alla premier britannica, dinanzi a quella che sembra avere i contorni di una vera e propria guerra mediatica, aprire le ostilità. Theresa May ha accusato il governo russo di voler pregiudicare le società libere dell’Occidente attraverso un «attacco ostile»: «Sappiamo quello che state facendo ma non ci riuscirete. Perché voi sottovalutate la resistenza delle nostre democrazie». «La Russia ha violato in maniera reiterata lo spazio nazionale di vari Paesi europei e ha portato avanti una campagna attraverso uno spionaggio cibernetico, compreso l’intromissione nelle elezioni», ha attaccato. Mosca si è limitata a rispondere con un tweet (ironico) del ministero degli Esteri: «Sappiamo altrettanto bene cosa TU stai facendo. Cara Theresa, speriamo che un giorno proverai il vino rosso della Crimea, Massandra».

Che la battaglia delle “fake news” sia destinata ad affiancare sempre più – e in alcuni casi a scavalcare – la realtà, lo conferma l’altro confronto che impegna la Russia: quello con gli Usa sulla Siria. Ma, in questo caso, appare anche tutto il potenziale “al contrario” di questa guerra di propaganda. La Russia ha puntato il dito contro gli Usa «e i loro alleati» accusandoli di aiutare i miliziani del Deash in Siria per raggiungere «i propri scopi» geopolitici in Medio Oriente. A sostegno di questa tesi, il ministero della Difesa russo ha diffuso un comunicato in cui dettaglia le accuse. Peccato che le immagini usate per accompagnare la nota siano dei clamorosi fake: “fermoimmagine”, tratti da filmati diffusi dall’esercito iracheno e persino da un videogame.

A svelare il clamoroso autogol è stato il Conflict Intelligence Team (Cit), collettivo di blogger indipendenti russi che monitora i conflitti armati. Mosca ha poi rettificando, parlando di «immagini sbagliate» e provvedendo a diffondere quelle «giuste ». Infine, l’ultimo “fronte”, anche se questo non taglia la linea delle fake news. La Francia ha lanciato un appello alla Russia, alleata del regime di Damasco, a «far cessare gli attacchi inaccettabili » in Siria dopo la morte di più di 60 persone in dei bombardamenti aerei ieri su un mercato di una località ribelle».

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