lunedì 28 giugno 2010
Nessuna risposta da parte del massimo organo giudiziario americano a un ricorso della Santa Sede, il cui legale Lena replica: siamo nel giusto. Il caso riguarda un cittadino che negli anni ’60 avrebbe subito abusi da un prete morto nel 1992 dopo essere stato dimesso dallo stato clericale. Una «non scelta» che rende possibile la richiesta al Vaticano di un risarcimento.
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La Corte suprema americana ha deciso di non prendere in esame un ricorso del Vaticano, permettendo di fatto a un abitante dell’Oregon di cercare un compenso economico dalla Santa Sede per gli abusi che sostiene di aver subito quand’era ragazzo da parte di un sacerdote.Rifiutando di esprimere un’opinione sul caso, il massimo organo giudiziario americano, nel suo ultimo giorno di sessione prima della pausa estiva, di fatto rimanda la palla alla Corte d’appello del nono circuito, responsabile per l’Oregon. Qui un anonimo querelante (indicato negli atti con il generico nome «John Doe») dovrà dimostrare che il sacerdote che a suo dire lo molestò negli anni Sessanta può essere considerato un dipendente del Vaticano. Solo se ci riuscirà il tribunale potrà in un secondo tempo indire un altro processo e chiamare a giudizio la Santa Sede, quindi stabilire se considerarla finanziariamente responsabile per le azioni del sacerdote.Alla radice della questione ci sono le azioni di cui venne accusato il reverendo Andrew Ronan, dimesso dallo stato clericale nel 1966 e defunto nel ’92, quando era sacerdote della parrocchia di St. Albert a Portland, in Oregon. Ronan a suo tempo ammise di aver sessualmente abusato di minorenni mentre operava nell’arcidiocesi di Armagh, in Irlanda, e poi alla scuola superiore di St. Philips, a Chicago, prima di essere trasferito a Portland.«John Doe» nella sua causa sostiene che il Vaticano è corresponsabile delle azioni del sacerdote, in quanto è responsabile dei suoi trasferimenti, e che non può essere considerato immune in quanto Stato sovrano che la legge Usa protegge dal giudizio dei propri tribunali. La corte d’appello del nono circuito aveva accettato questa interpretazione, perché un legame di dipendenza professionale diretta crea un’eccezione all’immunità degli Stati sovrani, e in base al modo in cui lo Stato dell’Oregon definisce i legami di dipendenza Ronan puo’ essere considerato un dipendente del Vaticano. Il Vaticano si era opposto a questa tesi querelante, e aveva fatto notare alla Corte suprema che la Santa Sede non può esser ritenuta colpevole dei comportamenti di singoli sacerdoti delle singole diocesi. «La Corte Suprema non ha riconosciuto i meriti legali di questo ricorso – spiega ad Avvenire Thomas C. Goldstein, avvocato che presenta regolarmente casi alla corte e fondatore del sito “Scotusblog”, che si occupa esclusivamente della Corte – ma questo non va letto come un’opinione di merito nel caso o come un precedente. Ora si riparte da zero. Il querelante deve tornare al grado di giudizio inferiore. Qui la sua tesi sarà sottoposta a un livello di prova maggiore di quello che gli è stato necessario per arrivare fin qui». Secondo l’avvocato del Vaticano Jeffrey Lena inoltre «la decisione della Corte suprema non significa che eravamo in errore nella interpretazione della legge». Lena ha ricordato che l’amministrazione Obama ha già dato ragione alla Santa Sede: «I giudici di Washington, interpellati, hanno valutato che il caso non meritava di essere esaminato al loro livello», ha spiegato ieri.I documenti presentanti dal Vaticano alla Corte suprema dimostrano che «non c’e’ alcuna prova negli archivi dell’archidiocesi (di Portland) che mostrano che l’arcivescovo possa essere considerato un ‘dipendente’ della Santa Sede e che l’arcivescovo seguì le linee guida obbligatorie della Santa Sede per le gestione dei casi di abuso sessuale di minori da parte di sacerdoti».Secondo Jeff Anderson, l’avvocato che rappresenta «John Doe» nel caso, «l’azione della Corte e’ una risposta alle preghiere di migliaia di sopravvissuti alle molestie sessuali dei preti che finalmente avranno una chance di avere giustizia».
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