Esuberi e chiusure: il Natale “tagliato” dei dipendenti della Natuzzi
di Luca Mazza
Raffaella Leone addetta al cucito e rappresentante Filca-Cisl: «Scaricare il peso di errori strategici sui lavoratori è ingiusto». Nel piano previsto lo stop agli impianti del Sud di Altamura e Santeramo. I sindacati: «Proposta inaccettabile»

«Sono un’addetta al cucito della Natuzzi Spa dal 2002, ho 49 anni e sono mamma di una ragazza di 20 anni, Annarita, studentessa al secondo anno di medicina». Raffaella Leone è una dei 1.800 dipendenti in Italia della Natuzzi, appunto, la multinazionale dei salotti e dei divani. Due giorni fa, nel tavolo al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, l’azienda ha annunciato un piano di “rilancio” che in realtà è un programma “lacrime e sangue” per l’occupazione in Italia, in particolare nel Mezzogiorno, con quasi 500 esuberi previsti (479 per l’esattezza) e la chiusura di due stabilimenti (su cinque totali in funzione nel Paese) ad Altamura e Santeramo.
Oltre a essere un’impiegata del noto colosso dell’arredamento da oltre vent’anni, Raffaella, dal 2007, è anche rappresentante dei lavoratori della Filca-Cisl. Per questo, nelle sue parole, più che concentrarsi sulla situazione personale di madre separata e con una figlia all’università, parla a nome di tutti i lavoratori Natuzzi: «Un’azienda in crisi che sceglie di tagliare i costi riducendo il personale compie una scelta ingiusta. Scaricare il peso degli errori strategici sui lavoratori significa ignorare il valore umano e professionale che ha contribuito a costruire l’impresa nel tempo – sostiene l’addetta –. Il personale non è una voce di costo da ridurre, ma un investimento: competenze, relazioni e formazioni che, se disperse, impoveriscono ulteriormente l’azienda. I licenziamenti inoltre creano ulteriore sfiducia anche nel personale che resta, ne riducono la motivazione, aumentando l’assenteismo e riducendo la qualità del bene prodotto».
Raffaella non manca di sottolineare che la perdita di altri posti di lavoro avverrebbe in un Sud, tra Puglia e Basilicata, un territorio già impoverito sul piano occupazionale e industriale: «In zone dove il lavoro scarseggia, il posto fisso non è solo uno stipendio, ma una garanzia di dignità, stabilità e futuro. Mettere a rischio tutto questo per gestire una crisi spesso causata da scelte manageriali sbagliate è profondamente ingiusto». I sentori per un piano di ridimensionamento c’erano da settimane: ritardi nei pagamenti degli stipendi e delle tredicesime, mancanza di chiarezza sul futuro, annunci di cambi ai vertici aziendali (Mario De Gennaro, ex direttore risorse umane, non è stato ancora sostituito).

Un piano definito di «investimenti, efficientamento produttivo, riduzione dei costi e riorganizzazione della rete dei punti vendita», in realtà per lavoratori e sindacati è una proposta inaccettabile. Le forze sociali respingono duramente le prospettive dell’azienda, che arrivano dopo una pioggia di soldi ricevuti dallo Stato: «Dopo 24 anni di ammortizzatori sociali e diversi milioni di fondi pubblici, non è possibile accettare 479 esuberi e la chiusura di due dei cinque stabilimenti - sostengono in una nota congiunta FenealUil, Filca-Cisl, Fillea-Cgil -. Consideriamo finito il tempo delle responsabilità a carico solo dei lavoratori del gruppo Natuzzi, che da anni pagano le scelte sbagliate dell’azienda dopo otto piani industriali». In assenza di un vero rilancio industriale, i sindacati si dicono «pronti a ogni forma di mobilitazione pur di salvare questo importante presidio industriale del Mezzogiorno». Prossimo incontro al ministero in calendario per il 25 febbraio, dopo il tavolo convocato dalla Regione Puglia per il 9 gennaio. Nel frattempo, per i dipendenti di Natuzzi sarà un altro Natale con il posto di lavoro in bilico. Anche se, come dimostra l’augurio di Raffaella, la speranza di un destino diverso resiste: «Per il nuovo anno mi auguro che si raggiunga un accordo che preservi non solo le postazioni dei vari stabilimenti, ma che riporti nelle famiglie la serenità e la stabilità economica ed emozionale persa durante questi ultimi anni».
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