sabato 29 gennaio 2022
Lo denuncia un rapporto della regione che si oppone ad Addis Abeba da 15 mesi. Mercoledì primo volo della Croce Rossa dopo il blocco imposto dal governo. L’Onu: «Il 40% è senza cibo»
L'arrivo del primo carico di aiuti umanitari della Croce Rossa allo scalo di Macallé in Tigrai

L'arrivo del primo carico di aiuti umanitari della Croce Rossa allo scalo di Macallé in Tigrai - Reuters

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Almeno 5.000 persone sono morte per malnutrizione e mancanza di cure nel Tigrai da luglio a ottobre 2021. Tra di loro più di 350 bambini piccoli. Lo afferma un nuovo rapporto dell’ufficio sanitario della regione autonoma settentrionale etiope, in guerra con Addis Abeba dal 4 novembre 2020, che riporta le valutazioni delle autorità sanitarie locali in collaborazione con alcuni gruppi umanitari internazionali.

Una stima parziale che, per i limiti agli spostamento dovuti alle occupazioni e ai combattimenti, descrive il dramma solo del 40% del territorio. Il blocco degli aiuti umanitari imposto dal governo federale, ufficialmente per timore che cadessero in mano alle forze di difesa tigrine, ha prodotto una catastrofe umanitaria, come denunciato più volte ad Avvenire dai medici dell’ospedale del capoluogo Macallé e dalla diocesi di Adigrat. Un medico dell’Ayder ha confessato alla Bbc che i sanitari sono costretti ad elemosinare cibo perché sono senza paga da 8 mesi e al posto delle garze utilizzano strisce di abiti. Secondo l’Onu, meno del 15% dei rifornimenti necessari è entrato nel Tigrai da luglio e gli aiuti sono ai livelli più bassi da marzo, mentre quasi il 40% degli abitanti è vittima di «un’estrema mancanza di cibo». Mercoledì 26 gennaio per la prima volta dallo scorso settembre un cargo della Croce Rossa è riuscito ad atterrare a Macallé per consegnare «medicinali essenziali».

Intanto proseguono i bombardamenti indiscriminati contro i civili con i droni di Addis Abeba che hanno ribaltato l’esito del conflitto. Il premier Abiy Ahmed ha appena sospeso in anticipo la stato di emergenza dichiarato ai primi di novembre che ha provocato ondate di arresti arbitrari di tigrini, religiosi compresi, e ha dichiarato una settimana fa ad alcuni esponenti della diaspora etiope che l’inizio dei colloqui di pace è «imminente». Ma il Tplf, partito guida del Tigrai che ha governato per quasi 30 anni l’Etiopia, ha annunciato il 25 gennaio la ripresa di «robuste» operazioni militari nella vicina regione degli Afar contro le forze filogovernative che bloccano gli aiuti.

Oltre a due milioni di sfollati interni e a un numero imprecisato di vittime civili, la guerra civile dimenticata nasconde altre due emergenze umanitarie. La prima, quella dei 25 mila eritrei nei campi profughi del Tigrai, è stata denunciata dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati sottolineando il deterioramento delle condizioni a Mai Aini e Adi Harush attaccati di recente dai droni federali. La scarsità di cibo e l’assenza di medicine hanno provocato più di 20 vittime nelle ultime sei settimane. Inoltre, privi d’acqua potabile, i rifugiati si stanno dissetando ai ruscelli con ulteriori rischi sanitari.

Ma nell’inferno del Tigrai, come lo ha definito il tigrino più famoso, il direttore dell’Oms Tedros, il dramma più celato è quello della minoranza degli Irob, popolazione senza voce del nordest, a cavallo tra Eritrea e Tigrai. Per la prima volta dalla pace del 2018, le famiglie sono state divise dall’occupazione delle truppe di Asmara.

Metà del distretto degli Irob tigrini, quasi tutti cristiani, è stato invaso all’inizio del conflitto dall’esercito eritreo nella parte montuosa, con le città di Aiga, Woratle, Awda. Gli eritrei hanno creato una zona di nessuno per separare l’area dal distretto controllato dalle autorità tigrine e imposto regole ferree. Agli Irob è proibito varcare il confine fissato dagli eritrei, comunicare con i parenti, persino andare al mercato. Per acquistare viveri devono recarsi in Eritrea che, però, non accetta valuta etiope. Un’invasione accettata da Addis Abeba, ma gli Irob si sentono etiopi. Secondo la Società globale degli studiosi del Tigrai la minoranza rischia l’estinzione.

Gli aiuti non arrivano da nove mesi e 72 civili sono stati uccisi a sangue freddo dai soldati asmarini nelle feste del Natale ortodosso dell’anno scorso. Erano quasi tutti giovani, alle famiglie è stato vietato per giorni di seppellirli. Altre 97 persone sono letteralmente sparite. La popolazione isolata in questi mesi di occupazione ha subito stupri, abusi, violenze, detenzioni illegali. Solo chi può pagare tangenti ai soldati è al sicuro, gli altri possono solo provare a sopravvivere.

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