venerdì 23 giugno 2017
In pochi chilometri quadrati è racchiusa la culla della cristianità di Ninive. I jihadisti hanno sfigurato il volto della metropoli: 100mila civili in trappola
Il famoso «minareto pendente» della moschea  al-Nouri  di Mosul distrutta  dal Daesh

Il famoso «minareto pendente» della moschea al-Nouri di Mosul distrutta dal Daesh

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La città di Mosul sarà indubbiamente irriconoscibile dopo la liberazione. I feroci combattimenti che si sono spostati, da ottobre a oggi, da un quartiere a un altro della seconda metropoli irachena hanno lasciato tante ferite indelebili. Le truppe irachene stanno moltiplicando da giorni gli sforzi per dichiarare la città totalmente libera entro domenica, che segna la fine del Ramadan e l’inizio delle grandi festività di Eid al-Fitr. I combattimenti vanno avanti feroci e, negli scontri, secondo l’Onu, risultano intrappolati ancora 100mila civili. Se l’impresa dovesse risultare impossibile, la scadenza slitterà di qualche giorno, al 29 giugno che marca il terzo anniversario della proclamazione del Califfato, oppure al 4 luglio, data in cui Abu Bakr al-Baghdadi ha pronunciato, tre anni fa, il suo famoso discorso presso la Grande moschea al-Nouri, che i jihadisti avrebbero distrutto mercoledì nel corso dei combattimenti.


E se il premier iracheno Haider al-Abadi ha promesso ieri che l’annuncio della liberazione totale sarà dato «nel giro di pochi giorni», il vice ministro degli Esteri russo ha invece affermato che le informazioni relative alla conferma della morte di Baghdadi in un raid russo contro Raqqa a fine maggio sono in corso di verifica attraverso «vari canali» e che la morte del leader del Daesh è «altamente probabile». La deliberata distruzione di un importante monumento storico musulmano quale è la Grande moschea al-Nouri, nonché della torre pendente diventata un’icona di Mosul, non promette nulla di buono riguardo le tante storiche chiese racchiuse all’interno della Città Vecchia ancora occupata dal Daesh. L’ultima mappa diffusa dal Nineveh Media Center, che segue passo passo gli sviluppi dell’offensiva “Arriviamo, Ninive”, mostra l’avanzamento delle truppe governative su due pricipali direttrici.

La prima, da quartiere di Bab Sinjar verso sud, vede i soldati inoltrarsi nella via al-Faruq verso la moschea al-Nouri; la seconda, da ovest verso est, attraverso lo sfondamento di via Ninive con l’obiettivo di raggiungere il Tigri. Le due direttrici si incrociano dove sorge (o bisogna dire sorgeva) la chiesa latina una volta celebre per il campanile dell’orologio, as-Sa’a in arabo, che dà il nome al rione. Si tratta di un dono fatto nel 1881 ai domenicani dall’imperatrice Eugenia di Francia, la moglie di Napoleone III. L’imperatore aveva stabilito con i cristiani d’Oriente un rapporto speciale. Sua, infatti, la decisione di inviare nel 1860 in Oriente un corpo di spedizione per fermare i massacri contro i cristiani del Libano e di Damasco.

L’Europa di oggi ha, invece, assistito impotente alla cacciata di migliaia di cristiani e altre comunità etniche e religiose ad opera del Daesh negli ultimi tre anni. Come ha assistito impotente alla distruzione, nell’aprile dell’anno scorso alla devastazione della chiesa latina di Mosul. Giunti nel 1750 a Mosul, i domenicani avevano fondato nel 1878 il seminario di san Giovanni apostolo che ha dato alla Chiesa, fino alla sua chiusura nel 1985, centinaia di futuri sacerdoti, vescovi e martiri caldei e siro-cattolici. Senza dimenticare le centinaia di libri che la sua tipografia (aperta nel 1857, la prima di Mosul) ha stampato in arabo, caldeo, siriaco, latino, italiano e turco.


A pochi passi, nel quartiere popolare di Mayyasa, sorgevano il convento delle suore caldee, una casa per le Piccole sorelle di Maria e due tra le chiese più antiche di Mosul. La prima è dedicata a Mar Shimun al-Safa, ossia a san Simone Cefa, che risale forse al IX secolo, alla quale era annessa una rinomata scuola che ha dato al Mosul migliaia di eruditi. L’altra è la cattedrale di santa Meskinta, una martire di epoca persiana diventata la santa patrona della città. Fondata nel XII secolo, la chiesa è stata per tanti anni sede patriarcale caldea (poi trasferita a Baghdad) poi la sede vescovile di Mosul. Più a ovest, nel quartiere Julagh, sorgono le chiese di Mar Toma (San Tommaso, dei siro- ortodossi) e di Mar Girgis (San Giorgio) costruite sui resti di antichissimi luoghi di culto cristiani. Altre rinomate chiese si trovano nella parte della Città vecchia che dà sul Tigri, per ora risparmiate dall’offensiva.

Ma non ci sono molte speranze di vederle intatte. Tra esse, la storica chiesa di sant’Isaia, nel rione di Ras al-Kur, e quella dell’Immacolata ( Tahira, in arabo) dei siro-cattolici, una volta meta per fedeli cristiani e musulmani. Nella stessa zona, sulla vicina via Nabi Girgis (il profeta Giorgio) sorgeva l’omonima moschea eretta nel 1300 e dedicata a questa figura venerata anche dai fedeli musulmani. Nel gennaio del 2016 immagini satellitari hanno mostrato al suo posto una spianata di cemento utilizzata come parcheggio per le auto.

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