martedì 10 dicembre 2019
L’Amministrazione lavora per creare uno dei pochissimi sistemi per la detenzione sistematica delle famiglie. E si appella contro le decisioni di un giudice federale
Il centro di detenzione per migranti a McAllen, in Texas (Ansa)

Il centro di detenzione per migranti a McAllen, in Texas (Ansa) - Ansa

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«Non esiste un modo sicuro di incarcerare i minori». Questa conclusione, raggiunta da un comitato di esperti creato dall’Amministrazione Obama e stabilita da un tribunale federale, è stata formalmente messa in dubbio dal governo di Donal Trump. Per poter detenere a lungo termine i genitori e i bambini che attraverso illegalmente il confine fra Usa e Messico, l’Amministrazione repubblicana si è appellata contro la sentenza del giudice Dolly Gee, che due mesi fa ha definito le condizioni dei bambini nei centri di detenzione per immigrati «kafkiane». È probabile che la battaglia legale finisca di fronte alla Corte Suprema, la cui maggioranza ha sostenuto nei mesi scorsi la linea di tolleranza zero della Casa Bianca nei confronti dei centroamericani che cercano asilo negli Stati Uniti.

Mentre il caso giudiziario compie il suo corso, l’Amministrazione Trump lavora alacremente per creare uno dei pochissimi sistemi per l’incarcerazione sistematica di famiglie nel mondo occidentale. Nonostante il divieto del magistrato, infatti, i tempi di incarcerazione medi delle famiglie si misurano in mesi, non in giorni, e hanno effetti devastanti sulla salute fisica e menta- le dei più giovani. Già sei bambini sono morti in meno di un anno mentre si trovavano sotto la responsabilità degli agenti di frontiera, e le associazioni di volontariato hanno registrato decine di tentati suicidi e centinaia di casi di sindrome post-traumatica. Gli psicologi dell’età evolutiva consultati dai presidenti George W. Bush e Barack Obama hanno concluso che privare della libertà un bambino, anche con i suoi genitori, «causa danni permanenti allo sviluppo». Ma negli ultimi mesi l’Amministrazione Trump ha ordinato l’espansione di centri di detenzione come quello di Dilley, in Texas, affinché possano ospitare più di 15mila persone. La strategia mira da un lato ad aumentare i posti disponibili in strutture temporanee, che sono il punto di arrivo degli immigrati subito dopo l’arresto al confine e sono spesso sovraffollate. Dall’altro il governo Usa punta a espandere le vere e proprie prigioni (gestite da compagnie private che amministrano le carceri americane) dove i minori sono trasferiti una volta presentata domanda di asilo.

L’obiettivo, rivelato dallo stesso Trump, è di smettere di rilasciare le famiglie, come prevede la legge (spesso con cavigliere elettroniche per non perderli di vista), chiedendo loro di presentarsi in tribunale quando il loro caso viene discusso. Il presidente non ha mai nascosto che l’intenzione finale è di scoraggiare nuovi immigrati dall’abbandonare i loro Paesi. Ma secondo membri dell’Amministrazione, i centri di detenzione sono luoghi sicuri. «Molti di questi bambini non hanno mai vissuto così bene come qui da noi», ha detto al New York Times Matthew Albence, direttore dell’agenzia frontaliera federale Ice.

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