venerdì 13 dicembre 2013
Nella chiesa di Sant’Efrem a Bassora l'incontro tra la comunità locale e la delegazione di italiani portati dall’Opera Romana Pellegrinaggi (Orp). ​​​Il video​
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Nella piccola chiesa di Sant’Efrem a Bassora risuonano le parole del Padre Nostro scandite in aramaico. E’ la lingua in cui duemila anni fa Gesù insegnò questa preghiera agli apostoli, e che ancora viene usata nella liturgia dai caldei in Iraq. 
 
E’ festa grande per la comunità cristiana della città, che accoglie la delegazione di italiani portati fin quaggiù da monsignor Liberio Andreatta e dall’Opera Romana Pellegrinaggi (Orp) e che domani si spingerà fino a Ur, la città dove è nato Abramo. Pregano in aramaico gli iracheni, pregano nella loro lingua gli italiani, partecipano in silenzio in segno di amicizia alcuni musulmani di Bassora. Un segno di unità che non cancella le differenze ma testimonia che è possibile vivere insieme nel rispetto reciproco e costruire insieme un pezzo di futuro in una terra che continua a essere devastata dalla violenza e dalla lotta tra fazioni.
 
“L’Iraq ha bisogno di riconciliazione come dell’aria che si respira – tuona dall’altare Shlemon Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, che celebra la Messa insieme ad Andreatta e ad alcuni sacerdoti italiani che lo accompagnano –. Grazie al cielo qui a Bassora il popolo è più unito che altrove, ma dobbiamo lavorare ancora in questa direzione e chiedere a Dio il dono della concordia”. Warduni ha accolto oggi i pellegrini italiani che partecipano al “gesto profetico” promosso dall’Orp, nella scia di analoghe iniziative proposte negli anni scorsi in Palestina, in Libano e in Bosnia. Una reliquia di Giovanni Paolo II, un frammento della sua veste intrisa di sangue che indossava il giorno dell’attentato del 1981, viene portata nella terra che Wojtyla desiderava intensamente visitare ma non potè raggiungere a causa della guerra.
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