lunedì 21 gennaio 2013
​La Corte suprema punisce Sherry Rehman, ex parlamentare musulmana del Pakistan People's Party, ex ministro e oggi ambasciatrice negli Stati Uniti (nella foto). La sua colpa? Aver tentato di correggere la legge in Parlamento. (Stefano Vecchia)
COMMENTA E CONDIVIDI

Con un provvedimento dalle conseguenze imprevedibili, la Corte Suprema del Pakistan ha approvato la richiesta di processare per blasfemia Sherry Rehman, ambasciatrice del Pakistan negli Stati Uniti. La colpa che la espone alla ritorsione della “giustizia” pachistana? Aver difeso Asia Bibi – la donna in carcere per blasfemia dal giugno 2009 – ed essersi battuta per la revisione di una normativa che è sempre più uno strumento di oppressione delle minoranze religiose. Denunciata nel febbraio 2010 dopo la sua partecipazione a un programma televisivo sulla rete <+corsivo>Dunya Tv<+tondo>, l’allora parlamentare era stata scagionata dalla polizia della città di Multan che aveva inizialmente accolto la denuncia di un commerciante locale, Fahim Akhtar Gill, «sconvolto» dalla posizione della Rehman riguardo alla “legge antiblasfemia”. Successivamente un tribunale di prima istanza del capoluogo provinciale del Punjab, Lahore, aveva negato l’avvio di un procedimento.Il ricorso alla Corte Suprema ha portato però a una svolta clamorosa. La sentenza con cui il massimo organo giudiziario ha deciso per l’ammissibilità delle accuse è destinata a riacutizzare il dibattito già aspro che riguarda la cosiddetta legge antiblasfemia e in particolare l’articolo 295C del Codice Penale che prevede l’ergastolo e anche la pena capitale per chi oltraggi il profeta Maometto. Si tratta di un provvedimento che finisce inevitabilmente per mettere in difficoltà un governo e una maggioranza di cui la Rehman è stato esponente significativo e del cui partito di maggioranza, quello del Popolo pachistano fa ancora parte.Una situazione paradossale, quella dell’ambasciatrice Rehman, già minacciata durante la sua esperienza parlamentare proprio perché aveva cercato inutilmente di difendere chi della legge è vittima e di emendare la legge stessa secondo i canali legislativi: oggi si ritrova nel ruolo dell’accusata.Come ricorda anche l’agenzia Fides, il verdetto con cui i giudici Anwar Zaheer Jamali e Ejaz Afzal Khan che hanno accolto giovedì scorso il ricorso ordinando al capo della polizia di Multan di registrare ufficialmente il caso di blasfemia, è un risultato “importante” per gli estremisti religiosi e per le loro affiliazioni politiche. Certamente un ulteriore elemento di dissuasione verso che si oppone agli effetti più arbitrari o severi di una legge che finisce per diventare strumento di oppressione contro le minoranze ma anche contro musulmani moderati o modernisti. Solo un anno fa, rileva ancora <+corsivo>Fides<+tondo>, il Jinnah Insitute, diretto dalla Rehman, segnalava come il giudizio contro Asia Bibi – la cui vicenda ha ispirato il suo impegno di riforma della legge – fosse stato viziato da «evidenti pressioni di estremisti islamici», e motivato «da vendetta personale», mettendo anche in evidenza come in tutte le indagini e interrogatori preliminari Asia Bibi non avesse potuto disporre di un avvocato.La vicenda della Rehman ha anche aperti risvolti politici. Come ha commentato “a caldo” il predecessore alla guida della sede diplomatica negli Usa, Husain Haqqani, «gli estremisti mi che hanno accusato di tradimento senza che si aprisse un procedimento legale sembrano ora fare lo stesso accusando l’ambasciatore Rehman di blasfemia». Comunque andranno le cose queste petizioni incoraggiano gli estremisti e l’instabilità.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: