venerdì 29 maggio 2015
Aleppo, religiosi rimasti in prima linea: «Ormai i casi di cittadini uccisi o spariti nel nulla sono diventati migliaia»
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Impossibile avere un numero esatto. «Sono migliaia, questo è certo. Non c’è giorno che una persona non venga da noi a raccontarci un nuovo caso. Non sanno a chi altro rivolgersi », racconta ad Avvenire, il gesuita Ziad Hilal. Alla macabra contabilità della guerra civile siriana manca un capitolo importante, quello degli scomparsi. Uomini, donne, bimbi, anziani, islamici, cristiani, religiosi, laici: nelle “zone calde” della nazione qualunque cittadino è a rischio. Essere uccisi o sparire nel nulla è più di una possibilità. Lo sa bene padre Ziad: il sacerdote coordina ad Homs i progetti del Jesuite Refugee Service ( Jrs): proprio là, un anno fa, è stato ucciso il confratello, Frans van der Lugt. E, lo scorso 21 maggio, nella vicina Quaryatayn, è stato rapito un altro gesuita, Jacques Murad, priore del monastero di Mar Elian. «Solo nel nostro team, quattro operatori hanno un familiare scomparso. Ad Aleppo, dove c’è l’altro ramo dei progetti del Jrs, la situazione è anche peggiore. La spirale di violenza sta ingoiando tutto e tutti», spiega il religioso, che fa la spola tra le due città. Quando è possibile, cioè quando non ci sono combattimenti. «Gli scomparsi vengono risucchiati in un buco nero. È difficile risalire al gruppo che li ha presi e, dunque, con chi trattare. Ci sono troppe formazioni. In quattro anni di conflitto, le grandi milizie si sono frammentate in una pluralità di bande. Alcune sono gang criminali, altre volte si tratta di organizzazioni estremiste, qaediste. Anche se non c’è un confine netto. Possono rapire per chiedere un riscatto, per vendette personali, per ragioni politiche o settarie», racconta ancora padre Ziad. Le scomparse hanno l’effetto di terrorizzare la popolazione di Aleppo, ormai allo stremo. «Nella nostra mensa, nel quartiere di Azzizua, si presentano ogni giorno almeno 7mila persone», aggiunge il gesuita che gestisce un refettorio analogo ad Homs, oltre a vari centri per disabili, in funzione anche grazie all’aiuto di “Aiutiamo la Siria” (Aiulas). I cristiani sono i più spaventati, dopo la raffica di attentati che ha preso di mira i loro quartieri negli ultimi mesi. Chi può scappa. «Tanti prendono la via delle montagne e arrivano da noi, ad Homs. Solo in trenta giorni sono giunte 250 nuove famiglie. E ne aspettiamo almeno altre 200. Arrivano senza niente, spesso partono con i soli vestiti che avevano indosso». Ad accoglierli, alla periferia di Homs, ci sono i gesuiti e trecento volontari. Perlopiù giovani, di differenti religioni. «Ci sono islamici, cristiani ortodossi, cattolici. Lavorano fianco a fianco e, in questo modo, imparano a conoscersi. È l’antidoto più efficace contro l’estremismo che sta distruggendo la Siria», afferma il gesuita. Da quando il Jrs ha iniziato le attività nel Paese, nel 2008, il numero di volontari è cresciuto progressivamente. Dopo la guerra, da poche decine sono passati a centinaia. Un lavoro, ad Homs, fortemente sostenuto da padre Frans, prima del suo omicidio. «La gente lo amava molto. Era un eroe: ha sempre accolto tutti, senza distinzioni di fede. Era riuscito a trasformare il dialogo interreligioso in vita quotidiana. La sua tomba, alla periferia di Homs, è meta di pellegrinaggio di cristiani e islamici. Là ritrovano forza per andare avanti e continuare a sperare nella pace».
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