La grande fuga da Gaza city: un quarto della gente se n'è andata
di Redazione
Israele insiste col suo ultimatum: «Via da lì». Sarebbero 1.800 gli edifici demoliti in meno di un mese

I missili che piovono dal cielo, le raffiche di mitra sempre più vicine, gli ordini perentori d’evacuazione e il caos diplomatico. Tracima e scorre ad una velocità ormai inarrestabile la moltitudine in fuga da Gaza City. Sono almeno 280.000, secondo l’esercito israeliano, le persone che hanno abbandonato la città dal 20 agosto, data di inizio dell’operazione “Carri di Gedeone 2”. Più di un quarto della popolazione. Erano 100.000 solo una settimana fa. «L’Idf è determinato a sconfiggere Hamas e sta ampliando i suoi attacchi. Per la vostra sicurezza, abbandonate l’area e dirigetevi verso la zona umanitaria di al-Mawasi e i governatorati centrali, dove potrete ricevere un’assistenza umanitaria molto migliore» ha esortato ieri il portavoce militare in lingua araba, Avichay Adraee.
Continuano a essere demoliti i palazzi a più piani, le «infrastrutture terroristiche» che Hamas starebbe allestendo in attesa della guerriglia urbana. Ogni collasso corrisponde a centinaia, migliaia di nuovi profughi. Ieri i bombardamenti hanno colpito anche due scuole dell’Unrwa, da tempo trasformatesi in rifugi. Pochi i minuti concessi per lo sgombero. Secondo un’analisi satellitare condotta dalla Cnn, sarebbero 1.800 gli edifici demoliti a Gaza City in meno di un mese. Letale resta il deserto di macerie a sud, vantato come «sicuro» dal portavoce Adraee. Quattro i palestinesi uccisi e tre i feriti a Wadi Gaza, nell’area centrale dell’enclave. Erano tutti alla ricerca di aiuti umanitari. Sono 41 gli uccisi ieri in tutta la Striscia, 29 solo a Gaza City, dove opera in silenzio la carestia: sette per cause legate alla malnutrizione. Dalle rovine del quartiere di al-Twam emergono i corpi della famiglia Sultan, sterminata venerdì da un missile. Fra le 14 persone uccise anche il piccolo Mohammed Ramez, che giocava a calcio nella squadra dell’Al-Hilal.
Nell’inferno un piccolo prodigio: il salvataggio di un intero museo archeologico potrebbe apparire un fatto minore fra le macerie della quotidiana strage. Non lo è, se si considera che anche la memoria storica palestinese si trova da decenni minacciata dall’oblio, se ci si confronta per un attimo con l’ipotesi della distopica “Riviera Gaza”. Lo ha raccontato la giornalista Cécile Lemoine sull’edizione francese di Terra Santa: il 10 settembre l’Idf ha annunciato il bombardamento del palazzo di 13 piani che nel quartiere di Rimal ospita il deposito archeologico della Scuola biblica e archeologica francese. All’istituto sono stati concessi 30 minuti per ultimare lo sgombero. Sarebbero finiti sotto le macerie 180 metri cubi di reperti. «Domani sarà tutta la cultura materiale ed etnologica di Gaza a scomparire», ha scritto l’archeologo René Elter in un messaggio diffuso immediatamente a quante più istituzioni possibili. Sono cominciate subito le trattative, e gli interventi del Consolato generale di Francia, dell’Unesco, del Patriarcato latino di Gerusalemme e della poco distante Sacra Famiglia custodita da padre Gabriel Romanelli, che insieme ai 500 sfollati ospitati dalla chiesa ha finora deciso di resistere agli ordini di evacuazione. La parrocchia ha fornito alcuni dei sei camion. Un’operazione che avrebbe richiesto dieci giorni è stata portata a termine in poche ore. Tutt’altro scenario a Washington, dove a cena il presidente Trump ha ricevuto il primo ministro del Qatar Mohammed al-Thani.
Nulla è trapelato sui contenuti delle discussioni. La visita d’emergenza ha avuto origine con il clamoroso attacco dei caccia israeliani a Doha, che ha squassato prepotentemente la fragile architettura degli accordi di tregua per la Striscia, e messo ulteriormente a rischio i già periclitanti equilibri della regione. Al-Thani a Washington ha incontrato anche il vice-presidente JD Vance, l’inviato per il Medio Oriente Steve Witkoff e il segretario di Stato Marco Rubio, che ha poi preso un aereo per Tel Aviv.
«Il Qatar intraprenderà tutti i passi per difendere sé stesso e la propria sovranità», ha dichiarato il primo ministro qatarino al termine della visita. Ieri è stato reso noto che anche il presidente iraniano Pezeshkian, il primo ministro iracheno al-Sudani e il presidente turco Erdogan prenderanno parte al vertice arabo-islamico organizzato dal Qatar a Doha per oggi e domani, durante il quale verrà discusso l’attacco israeliano. Nuovi elementi si sono nel frattempo aggiunti alla nebulosa dinamica dell’operazione: fonti del Mossad hanno riferito al Washington Post che il direttore dei servizi Barnea si sarebbe opposto all’attuazione del piano di far assassinare i dirigenti di Hamas da agenti infiltrati sul suolo qatarino. Troppo importanti e solidi i rapporti costruiti nel tempo con i colleghi del Golfo. Da qui la necessità di spedire otto F-15 e quattro F-35 sul Mar Rosso. Da l cielo di nessuno, a migliaia di chilometri dall’obiettivo, avrebbero sganciato i missili che hanno colpito la casa dove i dirigenti di Hamas e parte delle loro famiglie si trovavano per discutere la proposta americana di tregua.
«Il Qatar intraprenderà tutti i passi per difendere sé stesso e la propria sovranità», ha dichiarato il primo ministro qatarino al termine della visita. Ieri è stato reso noto che anche il presidente iraniano Pezeshkian, il primo ministro iracheno al-Sudani e il presidente turco Erdogan prenderanno parte al vertice arabo-islamico organizzato dal Qatar a Doha per oggi e domani, durante il quale verrà discusso l’attacco israeliano. Nuovi elementi si sono nel frattempo aggiunti alla nebulosa dinamica dell’operazione: fonti del Mossad hanno riferito al Washington Post che il direttore dei servizi Barnea si sarebbe opposto all’attuazione del piano di far assassinare i dirigenti di Hamas da agenti infiltrati sul suolo qatarino. Troppo importanti e solidi i rapporti costruiti nel tempo con i colleghi del Golfo. Da qui la necessità di spedire otto F-15 e quattro F-35 sul Mar Rosso. Da l cielo di nessuno, a migliaia di chilometri dall’obiettivo, avrebbero sganciato i missili che hanno colpito la casa dove i dirigenti di Hamas e parte delle loro famiglie si trovavano per discutere la proposta americana di tregua.
Quanto all’esito del raid, il canale israeliano Kan ha detto che i vertici di Hamas avrebbero informato un gruppo ristretto di comandanti del ferimento del capo-negoziatore al-Hayya, che prima risultava illeso. Almeno altri due funzionari sarebbero rimasti feriti. In serata poi, la ciliegina di Netanyahu: «Liberarci» dei capi di Hamas che vivono in Qatar «eliminerebbe l’ostacolo principale alla liberazione di tutti i nostri ostaggi e alla fine della guerra».
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