Ecco cosa vuole davvero Trump da Venezuela e Nigeria
Tra le righe della lotta al narcotraffico e alle persecuzioni dei cristiani, si insinua il vero interesse della Casa Bianca: i due Stati sono tra i maggiori produttori di greggio e hanno un legame strategico con il gruppo dei Brics

Un anno dopo il suo ritorno alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump ha ormai gettato completamente la maschera: da Nobel per la pace, sperato invano fino all’ultimo, a leader di una nazione che minaccia guerra in Africa e America Latina.
Domenica, intervistato dalla Cbs, non ha risposto alla domanda sul piano di attaccare, via terra, il Venezuela dopo aver schierato i marine nei Caraibi per un’imponente esercitazione di sbarco: l’idea è rimasta al centro di un gioco di parole tra detto e non detto. Un po’ come fa sempre sui dazi. Alla domanda «Maduro ha i giorni contati?» ha risposto: «Direi di sì».
Stessi toni (e stesse intimidazioni) anche sulla Nigeria. Dopo aver accolto un gruppo di afrikaner sudafricani a Washington e aver additato le autorità di Pretoria per la “persecuzione dei bianchi”, si è scagliato con lo stesso motivo contro le autorità di Abuja.
L’idea ventilata sulla Nigeria è che il Paese possa essere presidiato dall'esercito degli Stati Uniti (o per via aerea) per fermare l'uccisione dei cristiani. «Stanno uccidendo un numero record di cristiani in Nigeria. Non permetteremo che ciò accada». Nei giorni scorsi il tycoon aveva citato anche l’International Christian Concerne, la Ong ecumenica di Washington da sempre impegnata meritoriamente contro le persecuzioni dei cristiani nel mondo e tra i sostenitori di Trump fin dagli inizi della sua seconda campagna elettorale.
Come sempre, il più debole è subito corso ai ripari: il presidente nigeriano, Bola Ahmed Tinubu, si è detto è pronto a «incontrare Donald Trump nei prossimi giorni».
Fin qui la facciata, la narrazione e soprattutto il messaggio veicolato dalla Casa Bianca che si vanta di aver raggiunto «8 o 9» paci nel mondo senza ammettere che quella in Medio Oriente è più una fragile tregua in attesa di un assetto finale e che quella in Ucraina, tra le sceneggiate in Alaska e il secondo summit con Putin fallito prima ancora di iniziare, è molto lontana.
Scavando nei fatti, tra le righe di ciò che Sudafrica e Nigeria rappresentano, va segnalato che non sono solo, questo è quello che Trump lascia intendere, il punto di partenza di altre due guerre: i due Paesi sono tra i maggiori produttori di greggio ed entrambi fanno parte dei Brics. Il primo è tra i fondatori, il secondo è invece in uno status vicino all’adesione completa alla cordata dei Paesi amici di Russia, India, Cina e Brasile. Anche Caracas ne ha richiesto l’adesione, ma per il momento è in un limbo burocratico per il veto imposto dal presidente brasiliano Lula. Il Venezuela si è quindi rivolto all’alleato russo (che con la Cina aggira l’embargo sul greggio?) che ha minacciato di inviare gli ipermissili a Maduro.
La Nigeria, per tornare alla narrativa africana “made in Usa”, fino a tre anni fa, era tra i Paesi ai primi posti della triste classifica delle persecuzioni. Ora, per le varie associazioni che si occupano delle persecuzioni contro i cristiani, dietro a Corea del Nord, Somalia, Sierra Leone, Pakistan e Siria con azioni residuali di Boko Haram (da due anni frammentato in gruppi più dediti alla criminalità organizzata che al jihadismo) e circoscritti alla Provincia dell’Africa Occidentale dello Stato Islamico. Le cifre che riguardano il Paese sono di gran lunga inferiori a quelle degli scontri interetnici che solamente lo stesso regime di Abuja etichetta come “religiosi”. E mai però pari a una percentuale del 75 per cento di quelle in tutto il resto del mondo come ha riferito l’altro giorno il capo della Casa Bianca.
Si potrebbe ancora andare avanti ricordando che gli Usa in Venezuela, invece, vogliono fermare la produzione e l’esportazione di Fentanyl (con l’affondamento, per ora, quasi quotidiano solo delle imbarcazioni dei narcos che trasportano invece cocaina) quando nel Paese non se ne produce una sola pasticca, rispetto a Cina e Canada che invadono il mercato americano con l’oppioide. O, questo è lo sforzo da fare, analizzare i rapporti di forza tra Brics e Usa nelle aree interessate. Ma l’anno ormai trascorso, tra l’elezione di Trump del 5 novembre e oggi, forse non basterebbe.
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