venerdì 21 febbraio 2020
Come spesso accade anche questa volta crescono e girano notizie teorie non confermate, strampalate o meno, che fanno presa su molti. Ma non è certo una novità, uno sguardo al passato
Una donna sulle scale mobili a Shangai. L'immagine della realtà può essere distorta e raccontata in modo interessato o falso

Una donna sulle scale mobili a Shangai. L'immagine della realtà può essere distorta e raccontata in modo interessato o falso - Reuters

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Girano ipotesi. Teorie non confermate. Alcune strampalate, altre meno. Si tratta forse di manovre studiate a tavolino per influire sullo spazio cognitivo dell’avversario? Da sempre, l’arte dell’inganno fa parte della panoplia di armi per indebolire il nemico. Ecco allora l’abbondanza di notizie fasulle sul coronavirus.

È tutto un florilegio di teorie complottistiche.

E se il virus fosse scappato da qualche provetta militare? Come sempre, le notizie infondate hanno un fondo di verosimiglianza. La guerra biologica ha scritto intere pagine di storia militare, dalla notte dei tempi all’età contemporanea.

Basti solo pensare all’avvelenamento di acque superficiali e di scorte idriche, comune all’antichità assiro-sumera e al classicismo greco; o all’operazione dei reflui fognari ordita dalla Wermacht nella Boemia del 1945.

Ma è grazie agli sviluppi della microbiologia moderna, che la bio-guerra ha assunto potenzialità strategiche I laboratori militari del XX secolo sono stati capaci di isolare nuovi agenti patogeni, di moltiplicarli in vitro e crearne stock pressoché illimitati. Può trattarsi di virus, batteri, tossine, funghi e rickettsie, dagli effetti molto variabili: incapacitanti o mortali, immediati o successivi a incubazione lenta, contagiabili o meno. Proprio come il coronavirus.

In tutti i casi, la diffusione richiede tecniche raffinate, non accessibili a tutti. Il sistema più semplice è ricorrere a spore microscopiche, prima seccate e poi sminuzzate, ma anche questo procedimento richiede tecnologie di punta. Forse tecnologie in mano a uno stato? Per farne che cosa?

Gira voce assurda che il coronavirus possa esser stato creato ad arte nei laboratori cinesi. C’è chi ipotizza sia frutto di una ricerca americana, sfuggita volontariamente di mano per infiacchire il morale altrui. Da Clausewitz a Boyd, passando per Beaufre, la guerra è uno scontro di volontà. Anche la guerra dei complotti, la netwar e la noopolitik di Arquilla e Ronfeldt è un cozzare di volontà. Guarda caso il complotto numero uno sul virus riguarderebbe lo scontro epocale fra Cina e Stati Uniti per riequilibrare la bilancia commerciale.

In Cina al tempo del coronavirus

In Cina al tempo del coronavirus - Reuters

I trattati sul commercio piegati dal virus

Sul web è tutto un susseguirsi di notizie infondate su una clausola contemplata dagli accordi commerciali fra Stati Uniti e Cina. In caso di catastrofe naturale o di pandemie il trattato sarebbe stato rimesso in discussione. Un modo per esercitare ulteriore pressione sui cinesi e renderli ancora più accomodanti?

Una scemenza diremmo noi. Tutti i canoni del controllo dell’informazione e delle sue gerarchie qui saltano. Chiunque, compreso l’avversario, diviene capace di manovrare nel nostro spazio cognitivo. Non si tratta più di propaganda nel senso stretto del termine. La manovra cognitiva opera più in profondità, alterando, scardinando e sovvertendo i codici stessi del modo in cui percepiamo la realtà, anche a livello strategico. Per un nemico potenziale, non si tratta solo di far passare un messaggio, ma di modificarne la ricezione e la comprensione. Un modo per diffondere il panico e sfruttare la vulnerabilità dell’avversario, similmente al ghiaccio delle anfrattuosità che mina le fondamenta più solide, inverno dopo inverno. Così la razionalità della manovra cognitiva opera più sul segmento dell’attrito cumulativo che in uno spazio decisivo. Assestando colpo dopo colpo, metodicamente, più che con una botta singola.

L’Iran e il virus

Dal punto di vista dell’influenza, le prospettive aperte dalla manovra cognitiva sono importanti, perché permettono di mettere in discussione tutto il sapere acquisito, non attraverso nuove conoscenze, ma con la sola distruzione e falsificazione dello scibile precedente. Una pseudo-vulgata vorrebbe che il coronavirus sia stato diffuso dagli americani in Iran proprio alla vigilia delle elezioni, per tenere lontano il più possibile il popolo dalle urne e screditare così il regime, che non potrebbe sfruttare l’alta affluenza come arma di legittimazione.

In effetti, il coronavirus si è diffuso in più città iraniane, partendo da Qom, la città santa sciita per antonomasia, e con i viaggi delle persone avrebbe raggiunto altri centri urbani, tra cui Teheran, Babol, Arak, Isfahan, Rasht e altri. Ricordiamo che Isfahan e Arak sono alcuni dei siti nucleari iraniani più problematici, fra loro connessi. L’impianto di Isfahan è operativo dal giugno del 2006. Serve a convertire lo yellow cake in monossido di uranio, uranio metallico ed esafluoruro di uranio. Il primo passaggio avviene però ad Ardakan, dove sorge un impianto che trasforma tutto il minerale grezzo estratto dalla miniera di Saghand in yellow cake, attraverso un trattamento meccanico di polverizzazione, purificazione chimica e trasformazione solida ad alta concentrazione di uranio. La miniera si trova nel centro dell’Iran, non lontana da Yazd.

Ma Isfahan fa anche molto altro. Innanzitutto ha uno stabilimento per la produzione di zirconio, minerale utilizzabile nelle barre di combustibile. Poi converte lo yellow cake, l’uranio a basso arricchimento e l’uranio impoverito in monossido di uranio. Secondo i piani iraniani, l’impianto potrebbe accogliere anche nuove linee per la conversione dell’uranio naturale e dell’uranio arricchito al 20% in metallo utilizzabile in reattori di ricerca e in monossido di uranio per il reattore Ir-40 di Arak, al momento congelato.

Concepito con una potenza di 40 megawatt termici, l’Ir-40 è in tutto simile ai reattori utilizzati dagli indiani e dagli israeliani per dotarsi di plutonio militarizzabile, molto più stabile dell’uranio nella creazione di mini-ordigni, integrabili nelle testate missilistiche. In condizioni operative ottimali, Arak potrebbe produrre fino a 9 kg di plutonio l’anno, sufficienti per due bombe. Il coronavirus sarebbe una mossa dei servizi segreti americani per sabotare i neo-piani nucleari iraniani? Altra falsità.

L’inganno in guerra

Eserciti fantasma, compagnie di inganno e mezzi distorsivi. Si potrebbero citare il tenente americano Dick Syracuse e la sua 23rd Headquarter Special Troops, un’unità di livello reggimento dedita alle operazioni di inganno tattico durante la seconda guerra mondiale. Creata il 20 marzo 1944, l’unità contava 83 ufficiali e 1.023 subordinati.

La 244a compagnia di trasmissioni, forte di 300 uomini, animava reti radio fittizie, con suoni realistici di carri armati, cannoni, blindati e unità di fanteria. Rumori creati ad arte per ingannare il nemico sulla consistenza delle proprie forze in un dato settore. Una manovra cognitiva per eccellenza, amplificata dagli ingegneri dei Bell Labs. Rumori registrati e diffusi con potenti altoparlanti a diversi chilometri di distanza, come nella foresta lussemburghese di Bettembourg un giorno di settembre del 1944.

La 23esima era in grado di simulare fino a due divisioni. Operava inizialmente in Francia, imparando la dottrina marciando. Da giugno 1944 a marzo 1945, la potevi ritrovare nel nord-ovest dell’Europa, impegnata in 21 operazioni maggiori. Alcune fallimentari, altre meno, altre ancora vincenti. L’operazione di Syracuse era del settembre 1944, ribattezzata Bettembourg, un buon esempio di capacità di esercito fantasma. Il Tenente e la sua unità riuscirono a far credere ai tedeschi che una divisione blindata difendeva uno spazio semi-sguarnito, fissando così la Wermacht nel settore di Metz, obiettivo principale dell’attacco della terza divisione di Patton.

La 23esima simulava la sesta divisione: 500 uomini pronti a tutto e pronti a far credere al nemico di essere in 8mila. Tutto era lecito in quei frangenti: simulacri di carri Patton, canali radio fasulli, inganni sonori, false insegne sui veicoli e sulle uniformi, fuochi di campo, soldati nelle città circostanti, genieri travestiti da poliziotti militari. L’operazione, che durò dal 15 al 22 settembre, fu un successo. Non altrettanto può dirsi per le teorie complottistiche sul coronavirus, che finora non hanno fatto breccia.

Cancello nel Lodigiano, dove due persone sono risultate contagiate. Presentata così una normale foto diventa inquietante

Cancello nel Lodigiano, dove due persone sono risultate contagiate. Presentata così una normale foto diventa inquietante - Ansa

Gli esempi della storia e dell’attualità

Mai i greci avrebbero preso Troia se non con l’inganno e mai Ulisse avrebbe fatto ritorno a Itaca se non abusando di notizie false. Sun Tzu, nell’Arte della guerra, elegge l’inganno a tecnica primaria di combattimento e Machiavelli, nel Principe, esalta l’uomo politico capace di simulare e dissimulare. La cyberguerra dell’informazione è tuttora uno degli atout dei belligeranti.

Bisogna esser pronti e reattivi con un vero e proprio arsenale di controresilienza, per respingere gli attacchi alla verità e allo spazio cognitivo. Certo, non tutti i dubbi inculcati sui fondamenti scientifici hanno lo stesso valore in termini di manovra cognitiva.

I teorici del terrapiattismo non hanno la stessa credibilità, né gli stessi obiettivi di quanti attaccano i fondamenti del diritto marittimo e del diritto internazionale.

Le pretese turche sul Mediterraneo centro-orientale, legittimate dall’accordo bilaterale col governo Sarraj, hanno una portata dirompente. Contravvengono alla Convenzione sul diritto del mare e non stanno in piedi da sole, proprio come le teorie complottistiche.

I cinesi sono altrettanto abili dei turchi. Si stanno mangiando interi isolotti e scogli del mar Cinese meridionale, sovvertendo lo status quo con appigli giuridici fantasmagorici. Che dire della Crimea, annessa dai russi senza colpo ferire. Parliamo di un asse revisionista, che fa dell’antinomia giuridica il portato stesso delle proprie farneticazioni nazionalistiche.

Area 51 ovvero come ti invento gli ufo

Area 51 ovvero come ti invento gli ufo - Pixabay free

Il nonplusultra del complottismo: l’Area 51

Se c’è una base aerea che ha ingenerato molte teorie fumose, riprese anche dagli scenaristi di Hollywood, questa è l’Area 51 o Groom Lake, un sito ultra-protetto del Nevada. Alcuni sono arrivati a sostenere che il sito ospiti il vascello danneggiato dell’affare Roswell, una favola ripresa dal film Independance Day.

Le autorità americane hanno sempre ammesso l’esistenza di un sito vicino a Groom Lake, rifiutando però di divulgarne le attività. Abbastanza per alimentare i sospetti e le teorie più ardite. La Cia ha desecretato un rapporto di 400 pagine qualche anno fa: vi conferma che l’Area 51 è nata in contemporanea con il progetto dell’aereo spia U2, uno dei programmi coperti del Pentagono.

Il sito di Groom Lake fu individuato quasi per caso. Sorvolandolo con un aereo leggero Beechcraft nell’aprile 1955, un responsabile della Cia, Richard Bissell, ritenne potesse esser il luogo ideale per testare le varianti del nuovo occhio segreto americano, che vola ancora oggi. Questa zona di 155 kmq era all’epoca situata nei paraggi di un campo sperimentale della Commissione all’anergia atomica americana. Ben protetto quindi da occhi indiscreti.

I primi voli dell’U2 di Lockheed Martin cominciarono nel luglio 1955. Nessun altro aereo aveva caratteristiche così particolari: l’U2 sapeva volare a più di 20 km di altitudine, obbligando i piloti a esser equipaggiati come astronauti. Non c’erano ancora satelliti di osservazione e l’U2 avrebbe conferito un vantaggio competitivo agli americani rispetto ai sovietici: garantiva loro di ‘vedere senza esser visti’, il sogno di ogni reparto d’intelligence.

L’alta quota dell’U2 provocò però presto un effetto secondario: l’incremento esponenziale di avvistamenti di Ufo, anche da parte di piloti commerciali, specie sul finire del giorno, e soprattutto volando da est verso ovest.

Nel 1955, gli aerei di linea incrociavano fra i 3 e i 6 km di quota. All’epoca nessuno sospettava che un volo abitato fosse possibile a 20mila metri di quota. Pertanto nessuno immaginava di poter vedere un oggetto terrestre volare così alto nel cielo.

Visto che il programma U2 era segreto, l’aviazione americana non poteva smentire, prove alla mano, le fandonie sempre più numerose sugli Ufo. Da lì si diffusero teorie complottistiche, che accusavano il governo americano di nascondere la verità e perfino i corpi sezionati di extraterrestri.

Oltre a sviluppare programmi segreti, l’Area 51 accoglieva anche gli aerei sovietici scappati al regime, per studiarli.

Che la Cia riconosca oggi l’esistenza ufficiale dell’area 51 non ha niente di sorprendente. Il sito è noto ai piloti, cui è vietato il sorvolo, e al grande pubblico. Addirittura se ne possono consultare le immagini aeree attraverso i servizi di cartografia in linea, come Google Maps (37° 14′ 35″ Nord / 115° 48′ 47″ Ovest). Jeffrey T. Richelson, un ricercatore dei National Security Archives, cui dobbiamo il rapporto Cia (Freedom of Information Act), stima che il passo dell’agenzia centrale spionistica potrebbe essere il segnale di un cambiamento radicale: il governo farà filtrare altre informazioni sull’Area 51? Ci si può aspettare di saperne di più in futuro? Ecco il potere delle leggende metropolitane e delle fake news, dure a morire una volta propagate.


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