Viaggio nella rete dei Centri per la famiglia: cosa sono e come funzionano
di Luciano Moia
Sono oltre 600, ma con funzioni e qualità molto diverse da regione a regione. Nati negli anni Novanta, oggi sono diventati il cuore del Piano nazionale del ministero sulla famiglia. La novità del Family welfare manager

Centri per la famiglia. Il nome è incoraggiante. La funzione, almeno finora, un po’ vaga. Ma esistono, sono tanti, almeno nelle regioni del Nord, e il loro lavoro va armonizzato e razionalizzato. Anzi, vanno trasformati nello snodo strategico per sostenere e promuovere il protagonismo delle famiglie sul territorio. Sulla carta l’idea che sta alla base del Piano famiglia 2025-2027 della ministra Eugenia Roccella è originale e ragionevole. Perché non rilanciare la rete dei centri familiari per offrire alle famiglie un supporto concreto nella logica della sussidiarietà – come principio guida – e della vicinanza – dal punto di vista della logistica e della comodità di accesso? La sussidiarietà si esprime offrendo alle Regioni, da cui dipendono i centri, risorse adeguate almeno per far ripartire la rete dei centri e per rendere omogeneo un impegno che finora ha messo al centro le istanze più diverse, talvolta in modo un po’ confuso. Ecco perché tra i primi passi avviati dal ministero c’è stato quello della mappatura dei centri. Quanti sono, dove sono, come operano? Obiettivo agevole, verrebbe da pensare, quello di un censimento nazionale. Ma in concreto molto complicato. Vediamo perché. I Centri per la famiglia (Cpf) esistono, in ordine sparso, almeno dagli anni Novanta. Alcune regioni, come Lombardia, Piemonte e, in parte il Veneto, hanno saputo valorizzarli e sostenerli, anche se in modo diverso. Lo scorso maggio in Lombardia, in occasione della Giornata internazionale Onu dedicata alla famiglia, c’è stato un convegno che ha fatto il punto sulla sperimentazione dei centri avviata nel 2019. Una mappa con oltre 450 punti attivi che operano in modo coordinato, anche se con qualità ed efficacia che varia molto da città a città. Insomma, anche nelle regioni in cui la politica è sempre stata attenta alle realtà familiari, il ruolo e l’attività dei centri non è mai stata definita in modo univoco. Una varietà – per usare un eufemismo – che si ritrova anche in Veneto (67 centri, almeno sulla carta) e in Piemonte (46 centri). Nelle altre regioni le presenze sono quasi trascurabili. Basti pensare che in Friuli-Venezia Giulia e in Basilicata ci sono tre centri in ciascuna regione, uno in Valle d’Aosta e in Sicilia. Nessuno in Molise.
E a livello nazionale? In questi ultimi decenni la realtà dei centri per la famiglia è stata ricordata due volte soltanto, nella Legge finanziaria del 2007 e nel Piano nazionale per la famiglia del 2012. Poi il silenzio, complice da una parte la logica centralista, dall’altra il disinteresse con cui la politica ha sempre guardato – al di là degli annunci di facciata – al tema famiglia. Ora, con il progetto del ministero, le cose potrebbero cambiare. Non solo si dovrebbe capire a breve la consistenza e la dislocazione di questi centri grazie a una nuova mappatura, ma c’è uno strumento reale per uniformare gli obiettivi. Sono infatti arrivati due stanziamenti (2024 e 2025) per poco più di 60 milioni complessivi, frutto di un accordo Stato-Regioni, proprio per rafforzare o creare i Centri per le famiglie come servizi territoriali di supporto alla genitorialità. Consapevole della difficoltà di armonizzare obiettivi che finora erano stati lasciati alla sensibilità locale, il ministero ha chiesto alle Regioni di concentrare gli sforzi su tre punti: alfabetizzazione mediatica e digitale dei minori, «con particolare attenzione alla loro tutela rispetto all’esposizione a contenuti pornografici e violenti», servizi di alfabetizzazione delle famiglie sulla prevenzione e sugli effetti dell’assunzione di sostanze psicotrope (tossicodipendenze) e servizi finalizzati alla valorizzazione pratica dell’invecchiamento attivo, «anche attraverso il coinvolgimento volontario delle persone anziane in attività di accompagnamento, assistenza e consulenza alle famiglie». Ad agosto poi è stato lanciato un bando per altri 55 milioni a cui hanno aderito tutte le Regioni, tranne la Valle d’Aosta. Una iniziativa che amplia e completa gli obiettivi dei primi due stanziamenti. Per ottenere i finanziamenti le Regioni, oltre ad avviare il potenziamento dei centri esistenti e consolidare quelli di nuova attivazione con una campagna informativa su ruolo e risorse dei centri, ma anche con l’apertura di sportelli dedicati, non solo informatici, dovranno realizzare almeno due obiettivi tra quelli indicati dal ministero: servizi per l’ascolto e il counseling degli adolescenti e delle loro famiglie; sensibilizzazione sul valore dell’affido e dall’adozione attraverso la testimonianza delle famiglie affidatarie e adottive; promozione dell’utilizzo di figure di sostegno alla maternità e alla famiglia «nei primi mille giorni quali, ad esempio, l’assistente materna, le cui funzioni sono, in ambito sociale, di sostegno relazionale alla donna in gravidanza».

Nei Centri per la famiglia opererà il Family welfare manager, una nuova figura che dovrà promuovere e coordinare le politiche familiari territoriali coinvolgendo tutti gli attori, in modo da superare uno dei principali problemi legati a queste politiche, ovvero la loro frammentazione. Limitare a pochi obiettivi l’impegno dei Centri per la famiglia almeno in questa fase iniziale – anche considerando come detto che alcune realtà hanno un’attività consolidata e diversificata – potrebbe sembrare riduttivo, ma si tratta di una strategia comprensibile. Meglio approfondire in modo organico pochi temi di grande rilevanza che disperdere gli sforzi in un’attività molteplice, spesso senza alcun coordinamento. Poi ci sarà tempo per realizzare pienamente il progetto, a proposito dei centri, già ben delineato nel nuovo Piano nazionale per la famiglia, nell’ottica di «rafforzare i servizi per la prima infanzia, sostenere le madri lavoratrici e valorizzare i territori». Ma c’è anche un’altra ambizione, quella di «rendere la famiglia e la genitorialità non solo compatibili con i nuovi stili di vita, ma anche attrattive alla luce di essi», si legge ancora nel bando. Per realizzare questi obiettivi, i Cpf fungeranno da hub territoriali, dunque come vero punto di riferimento gestionale e operativo per le famiglie, aiutandole a conoscere gli strumenti, le risorse e le opportunità disponibili, e a orientarsi nell’affrontare problematiche specifiche. I centri raccorderanno tutti gli interventi per il benessere familiare, interagendo con le famiglie e con gli operatori del welfare familiare (imprese, terzo settore, enti locali). La logica alla base di questo modello organizzativo supera quella tradizionale, assistenziale, per spostarsi sul coinvolgimento attivo delle famiglie, che non saranno più semplici fruitrici di servizi ma contribuiranno attivamente alla loro realizzazione. Insomma, obiettivi importanti che adesso dovranno essere definiti con maggior precisione proprio per non disperdere la ricchezza di un’intuizione che merita di essere sostenuta nella logica della continuità. A cominciare da tre snodi fondamentali: la costanza dei finanziamenti, la qualità dell’offerta in una prospettiva partecipativa e sussidiaria delle famiglie, il coordinamento con altre realtà ed altri servizi, pubblici e privati, che già si rivolgono alle famiglie. Definire questi punti in accordo con gli enti locali di riferimento e con l’associazionismo familiare può essere il segnale per decretare il consolidamento di un felice progetto di rilancio dei centri familiari. Ipotesi che tutti coloro che hanno a cuore il futuro di un modello familiare vitale e generativo non possono che condividere.
L'idea che piace alle associazioni: «Così si esce dall'assistenzialismo»
Tra le realtà presenti nell’Osservatorio nazionale famiglia che hanno predisposto il Piano nazionale e hanno fortemente insistito per il rilancio e la riorganizzazione dei Centri per la famiglia sul territorio, c’è il Forum delle associazioni familiari. Le ragioni? L’associazionismo familiare è pienamente convinto che la filosofia che ha sollecitato una nuova valorizzazione di queste realtà sia pienamente condivisibile perché supera la consueta dinamica italiana che intercetta le famiglie solamente in dinamiche assistenziali e riparatorie. «Le famiglie – spiega il presidente del Forum, Adriano Bordignon – hanno la necessità di un supporto e di un accompagnamento rispetto alle loro funzioni prosociali, di cura, di educazione, solidarietà e promozione della crescita umana dei loro componenti. Si tratta di una vera e propria leva per promuovere capitale sociale e benessere diffuso nelle comunità territoriali». Se davvero si avrà il coraggio e la forza di andare fino in fondo, il rilancio della rete dei Centri può rappresentare un grande salto di qualità per tutto quanto riguarda il rapporto tra famiglia e realtà socio-assistenziali. «Anche perché – riprende Bordignon - i Centri per la famiglia non si connotano tanto come un servizio, quanto come uno spazio comunitario promozionale. L’obiettivo che si pone il Piano nazionale, a mio parere, si sviluppa attorno a due direttive. Ridefinire la funzione e l’organizzazione del Centro per la famiglia in un quadro, quello attuale, fortemente frammentato e rafforzarne la funzionalità definendo e sostenendo le competenze degli operatori coinvolti». Il salto di qualità potrebbe proprio consistere nel superamento della logica assistenziale e sulla volontà di focalizzarsi sulla promozione del benessere familiare anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie stesse in una sorta di rinnovato protagonismo familiare che supporti il passaggio dalla logica della famiglia che fruisce dei servizi, a quella che contribuisce alla loro definizione, realizzazione, animazione. Ma in questa fase transitoria – è il timore dell’associazionismo – è possibile che vi siano delle sovrapposizioni in particolare con il sistema dei Consultori pubblici e quelli familiari di ispirazione cristiana, che già nella realtà dei fatti operano in una doppia veste. In particolare – si mette in luce – il sistema dei consultori familiari cattolici potrebbe essere un’ottima rete infrastrutturale sulla quale fare affidamento per fare un salto di qualità nel prossimo periodo.
Altro aspetto originale del progetto che il Forum delle associazioni familiari considera in modo positivo è la creazione della figura del “Family welfare manager”, un elemento chiave per gestire questa rete complessa, evitando sovrapposizioni e favorendo sinergie, oltre a una governance che tenga conto delle peculiarità e delle esigenze specifiche di ogni territorio. «Questi centri – continua il presidente del Forum – hanno il compito di coordinare vari attori sociali, promuovendo una visione pluralista del welfare familiare e valorizzando le iniziative locali. In questo senso il rilancio mira a superare la frammentazione e a rafforzare servizi concreti per la famiglia, rivitalizzando realtà che spesso sono state poco efficaci o presenti solo sulla carta». Nessun problema, a parere delle associazioni, il fatto che in questa prima fase si sia deciso di puntare su poche funzioni, certamente non esaustive, perché – si spiega - è più agevole ricondurre ad una omogeneità se le funzioni attribuite vengono integrate con gradualità. D’altra parte chi può contestare il fatto che tematiche come l’educazione digitale, quella educativa e quelle relative all’abuso di sostanze e alle dipendenze non siano tra le più urgenti? «Importante però – fa notare Bordignon – che non si attenda troppo per avviare un’azione significativa anche sulle questioni delle competenze relazionali. In particolare quelle che riguardano coniugalità e genitorialità. Credo che sia necessario integrare l’offerta con questo tipo di proposta. Ricordandosi che la cura e la psicoterapia viene svolta presso i consultori mentre qui si tratta di acquisire competenze, sostenere sensibilità, attivare reti».
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