Foto Siciliani
Giustamente ci si preoccupa per i dati che emergono dalla Terza indagine sul maltrattamento all’infanzia e all’adolescenza, in particolare diffusa nei giorni scorsi da Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Terres des hommes e Cismai, perché evidenziano un suo forte aumento nel giro di pochi anni. Tuttavia, la lettura dell’indagine, sia nella sua parte analitica che in quella programmatica, lascia sconcertati per diversi motivi. Nel capitolo dedicato a chi sono i maltrattanti, apprendiamo che nel 87% dei casi sono persone appartenenti al nucleo familiare, ma sorprendentemente di queste persone non è dato conoscere il sesso (non è stato indagato?), mentre dagli studi condotti in sede nazionale e internazionale sappiamo che nella stragrande maggioranza dei casi, che si tratti di maltrattamento fisico o psicologico o di abuso sessuale o ancora di violenza assistita (l’incuria è abitualmente più condivisa tra le figure genitoriali), il responsabile è il maschio, che sia il padre biologico o un partner sopravvenuto.
Si badi, non si tratta qui di additare il colpevole, quanto di comprendere che le forme di violenza perpetrate dai maschi hanno una genesi che va conosciuta, perché è suscettibile di intervento. Sappiamo ad esempio da una gran mole di ricerche che gran parte dei maschi maltrattanti hanno avuto genitori (quasi sempre il padre) maltrattanti e sappiamo che un buon attaccamento paterno, e quindi il coinvolgimento del padre nelle cure, dalla nascita in poi, produce una netta riduzione dei comportanti violenti in adolescenza e dei suoi antecedenti comportamentali in preadolescenza.
Per quanto riguarda poi il da farsi, le raccomandazioni del rapporto restano troppo generiche quando si riferiscono alla necessità di azioni preventive. Il rapporto fa riferimento a quanto da tempo raccomandato, sulla base dell’evidenza prodotta da studi e ricerche, dalle organizzazioni internazionali e in particolare dall’Oms, soprattutto attraverso l’attività di Inspire, un pacchetto di misure per la prevenzione della violenza sui bambini e sugli adolescenti, ma resta molto più generico nelle sue indicazioni quando si tratta di azioni preventive. Inspire, ad esempio, fa preciso riferimento a due tipi di interventi, entrambi finalizzati a promuovere quelle condizioni di genitorialità responsiva che sono il determinante principale della prevenzione di ogni tipo di maltrattamento: programmi di visite domiciliari già in epoca prenatale e opportunità per i genitori di ritrovarsi in una dimensione di gruppo con il supporto di figure professionali con competenze socio-educative.
Programmi e opportunità che devono essere proposti a tutti i genitori, se veramente si intende fare vera prevenzione e non solo identificazione precoce dei casi, che è quanto al massimo si può ottenere con quanto proposto dal rapporto, vale a dire l’aumento degli assistenti sociali e la formazione degli operatori sanitari che vengono in contatto con bambini e famiglie. Tra l’altro, un programma universale di supporto alle competenze genitoriali, che mantenga ben chiaro anche un focus specifico sui padri, sarebbe in grado di affrontare anche le altre problematiche emergenti che riguardano l’infanzia e l’adolescenza, vale a dire l’aumento delle difficoltà di apprendimento, dei problemi di comportamento e dei disturbi di salute mentale, tutti fenomeni con radici nell’ambiente familiare. Se la prevenzione è possibile, e se esistono modelli di intervento consolidati, allora è questa la strada da indicare e da perseguire subito e con adeguate risorse.
*pediatra, presidente del Centro per la Salute delle Bambine e dei Bambini