Ora dobbiamo ridare credibilità alle famiglie affidatarie

Cosa ha lasciato questa lunga e complessa inchiesta? Il danno più grave è la perdita di fiducia collettiva verso il sistema di protezione dei minori e la giustizia minorile
July 16, 2025
Ora dobbiamo ridare credibilità alle famiglie affidatarie
Ansa | Scarpette bianche davanti al municipio di Bibbiano in segno di protesta
La sentenza del Tribunale di Reggio Emilia del 9 luglio scorso prosegue nella linea delle precedenti decisioni assolutorie, alcune ormai definitive, che costituiscono stabili acquisizioni nel cosiddetto “caso Bibbiano”.
Abbiamo sempre scelto di non commentare una vicenda tanto complessa, come dimostra la durata dell’istruttoria e del dibattimento. Crediamo però sia ora opportuno trarre alcune lezioni. La prima riguarda la complessità delle scelte a tutela dei minori. Una complessità irriducibile ad astratte contrapposizioni valoriali: non basta il richiamo alla famiglia d’origine, “naturale” se si vuole. È certo da preferire e sostenere, ma non sempre e non a ogni costo. Talvolta, all’osservazione attenta, si rivela luogo di maltrattamenti o incuria grave; in questi casi, una preferenza incondizionata si tradurrebbe in omissione di tutela. Se tanto mobilita l’allontanamento dei bambini – in un Paese dove i minori in protezione sono 3,5 ogni mille (contro gli 11,4 della Francia e i 10,8 della Germania) – dovrebbe almeno altrettanto preoccupare l’omissione di intervento in casi gravi. La stessa complessità riguarda le istruttorie e gli elementi raccolti nel corso dei giudizi: elementi spesso orali, racconti, comportamenti da decifrare, materiali mutevoli che impongono cautela e consulenze tecniche. Non è peculiarità della “vicenda Bibbiano”: ogni giudizio sulla tutela dei minori esige specializzazione, ascolto, contraddittorio, sospensione del giudizio. Sono i fondamenti dell’accertamento giudiziale. Per questo è cruciale evitare posizioni preconcette e attendere l’esito dei processi.
Chi, tra politici e media, ha trattato la vicenda amplificandola e assumendo tesi aprioristiche ha mostrato disinteresse verso questa complessità. La contrapposizione manichea, proposta già nel titolo dell’inchiesta – “Angeli e demoni” –, autorizzava a ignorare le sfumature. Una parte della comunicazione pubblica non si è riferita solo a singole famiglie o affidamenti ma ha voluto denunciare un “sistema” Bibbiano come paradigma nazionale. Così si è ampliato il perimetro del processo, andando ben oltre i singoli imputati.
Ora, pur dopo le assoluzioni, restano però gli effetti: attacchi e delegittimazione dell’affido, sospetti sulle famiglie affidatarie, rappresentate come mosse da fini di lucro. Resta anche la sfiducia verso il welfare pubblico dedicato all’infanzia. Il danno più grave è nella perdita di fiducia collettiva verso il sistema di protezione dei minori e la giustizia minorile e di famiglia. Un danno d'immagine a un sistema che organismi internazionali considerano tra i più attenti e preparati. Siamo convinti che questa fiducia si possa ricostruire solo nel lavoro quotidiano e nel rapporto diretto con le persone, come già è accaduto in questi anni in tante situazioni in cui non si è atteso il verdetto finale per intervenire.
Sarebbe significativo, oggi, ascoltare chi sei anni fa ha alimentato il teorema del “sistema Bibbiano”; sinora però regna un eloquente silenzio, destinato con ogni probabilità a perdurare. Chi ha assunto posizioni aprioristiche raramente accetta smentite: può sempre sostenere che le cose vanno meglio “grazie” alle proprie denunce. Al contrario, sarebbe utile – per tutti – imparare davvero dalla vicenda Bibbiano. Come sempre accade quando si ha l’umiltà di riconoscere gli errori e trarne insegnamento, per ridurne almeno il rischio di ripetizione.
Presidente dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia (Aimmf)

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