«Noi genitori orfani ora diamo ali alla vita»

Storie di famiglie italiane che stanno cercando di superare il dolore più grande sostenendo a Capo Verde e in altre zone progetti di rinascita in una prospettiva di fraternità
July 17, 2025
«Noi genitori orfani ora diamo ali alla vita»
I coniugi Ingher nella casa costruita a Capo Verde in memoria della figlia Manuela
“C'era una volta un sognatore che aveva bisogno di una terra per sognare”. La terra, Fabrizio Mirabella, architetto ebolano e cooperante internazionale, l'aveva trovata in Capo Verde, dove nella capitale Praia aveva lavorato alla riqualificazione di una periferia disagiata. Al rientro dal periodo all'estero, aveva aperto un blog per raccontare le sue esperienze personali e professionali, con una certezza: “Ritornerò in questa terra arsa dal sole dove la povertà è una puzza che respiri tutti i giorni”. Ma il sogno di Fabrizio Mirabella è durato troppo poco. Il 2 agosto 2006, a 31 anni, è mancato. «Un dolore senza fine che mi accompagnerà per sempre. Manca una parte di me. Non ho perso solamente un figlio, ho perso una colonna», dice mamma Clara D'Amato, 76 anni, una forza della natura. L'ho incontrata proprio a Capo Verde, nell'isola di Fogo dove, lo scorso 18 maggio, nel comune di São Filipe, all’interno del complesso delle Casas do Sol, è stata inaugurata la casa di cure palliative “Nossa Senhora de Encarnação” (Nostra Signora dell’Incarnazione), voluta dal cappuccino piemontese Ottavio Fasano. Ultimo di una serie di progetti che il frate ha realizzato in questo arcipelago a partire dagli anni Sessanta.
Mamma Clara non si è arresa al dolore, l'ha trasformato in solidarietà. Così lei e il marito Paolo hanno creato l'Associazione culturale Fabrizio Mirabella per realizzare iniziative benefiche volte a ricordare il figlio, il suo impegno sociale, interculturale e inter-religioso, tanto da progettare un “Luogo di culto per tutte le religioni”. «Fabrizio diceva: “Se non ti sporchi le mani, è inutile che parli”. Un grande insegnamento per me. Ho cercato conforto nella fede, che ti accompagna, ti aiuta a trovare un senso, ma non risolve. La soluzione puoi trovarla solo dentro di te. Come famiglia abbiamo cercato di dare un senso alla sua morte, facendo qualcosa con il suo stile, supportando finanziariamente la casa di cure palliative in Capo Verde, e realizzando un concorso per gli istituti scolastici di Eboli (Salerno), per offrire borse di studio», racconta Clara, che ha sempre potuto contare sulla vicinanza di tanti amici di Fabrizio.
«Lui, che era stato presidente della Gioventù Francescana, è morto proprio il 2 agosto, giorno del Perdono di Assisi. Ogni anno lo ricordiamo con una Messa, e la chiesa è sempre piena. I suoi amici mi dicono che quando hanno un problema pensano a come Fabrizio l'avrebbe superato, a quali consigli avrebbe dato loro. Da 19 anni questa folla non mi lascia mai sola, e questo è consolatorio. Magari se lui fosse stato qua, nessuno si sarebbe mai accorto di che persona era. Invece la sua mancanza ha messo in luce tutta la sua bellezza. Una volta la settimana vado al cimitero e incontro una signora che di recente ha perso l'unico figlio. Posso percepire il dolore di questa persona che nelle mani non stringe più niente. Io sono fortunata. Ho un altro figlio, Giampiero, sposato con Ida. E due nipoti, Clara di dodici anni, e Fabrizio - si chiama come lo zio - di otto. Ho la casa sempre piena, così la vita del mio Fabrizio continua anche in loro».
Lo sanno bene che cosa significa perdere l'unica figlia i coniugi Irgher (71 anni entrambi), che vivono a Carcare, in provincia di Savona: papà Marcello e mamma Silvia. Quest'ultima è originaria di Fossano (Cuneo), dove sorge il convento dei frati cappuccini, per questo ne conosceva l'impegno in Capo Verde. Sorrideva alla vita Manuela quel 21 giugno 2003, diciassette anni compiuti da una decina di giorni. La pizza, il ritorno nel sedile posteriore dell'auto di un amico, l'uscita di strada a pochi chilometri da casa, la caduta nella scarpata, l'auto si inabissa sul greto di un fiume. Manuela non ce la fa. Erano in quattro, muore solo lei. «La perdita di una figlia è qualcosa dalla quale non ci si riprende - dice Silvia -. Fortunatamente siamo credenti, perciò ci siamo rifugiati nella fede. Poi abbiamo deciso di aiutare gli altri, e questo ha aiutato anche noi. Nostra figlia era solare, con un grande senso della giustizia. Volevamo che fosse ricordata nel tempo». L'anno successivo, i coniugi si recano da padre Ottavio, e si mettono a disposizione. Nel 2018 nasce Casa Manuela Irgher, a Pedra Badejo, Santa Cruz, poco lontano da Praia, nell'isola di Santiago. La struttura, gestita da Amses - Associazione missionaria solidarietà e sviluppo (la onlus fondata da padre Ottavio per la gestione finanziaria dei progetti), in collaborazione con i frati cappuccini capoverdiani, offre supporto a giovani madri sole con i loro bambini. Le ragazze lì ospitate recentemente hanno vissuto il privilegio della visita della regina di Spagna, Letizia Ortiz. Sulla facciata, una foto di Manuela rende eterno il suo sorriso. Ma quel sorriso i coniugi Irgher hanno scelto di portarlo praticamente ai quattro angoli del mondo, realizzando due scuole in Madagascar e una in Costa d'Avorio, un dispensario nella Repubblica Democratica del Congo, un centro d'accoglienza nel Kerala, in India, e un piccolo asilo vicino a Lima, in Perù.
La regina Letizia di Spagna a casa Ingher
La regina Letizia di Spagna a casa Ingher
«A Manuela dico sempre, restaci vicina. Noi continuiamo, ma tu aiutaci da lassù. Sono certa che il nostro impegno le fa piacere perché era molto altruista». «Non avrei potuto fare nulla da solo - dice padre Ottavio -. Devo ringraziare i tanti donatori che negli anni ci hanno supportato, economicamente e manualmente. La facciata della casa di cure palliative, il nostro progetto più oneroso, è decorata con piastrelle sulle quali sono scolpiti i nomi dei benefattori; abbiamo voluto così mostrare la nostra gratitudine».
Tra queste ce n'è una di particolare, è quella di padre Ettore Molinaro, dove la E iniziale è scritta come una nota musicale, come lui si firmava. Lo ha voluto la famiglia di questo frate cappuccino, molto amato nella cittadina di Bra (Cuneo), dove era stato per molti anni direttore onorario del museo Craveri e rettore della chiesa di Santa Chiara. Era considerato un frate-scienziato, perché aveva saputo coniugare la vocazione francescana con i valori della scienza, anche a Capo Verde, dove si era recato più volte per occuparsi di ricerche archeologiche così da poter raccontare l'arcipelago anche da un punto di vista diverso. «Mio fratello - dice Adriano - era una persona sempre molto disponibile verso tutti. Anche quando ha cominciato ad avere gravi problemi di salute, non si è risparmiato. Dopo la sua morte, a marzo 2015, con mia sorella Teresa e gli altri due miei fratelli Giuseppe e Pierluigi abbiamo deciso di non interrompere il ponte con Capo Verde. Quando padre Ottavio ci ha parlato della casa di cure palliative, abbiamo accolto l'idea con entusiasmo. Gli ultimi giorni nei quali Ettore era ricoverato all'ospedale di Bra, la sua situazione si era aggravata a tal punto che si era parlato di trasferirlo all'hospice di Cuneo. Invece, si è aggravato ulteriormente ed è morto in ospedale. Il fatto che anche lui stesse per utilizzare questo tipo di struttura, ci ha convinti che il nostro contributo doveva andare per la costruzione di un hospice. Bello che anche i capoverdiani possano trovare sollievo nell'ultima ora».

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