«Mia figlia rifiuta di venire a tavola». Quando e perché chiedere aiuto
Per gli esperti c’è una nuova mappa
dei disturbi alimentari che i genitori
non possono più permettersi di ignorare Ne parliamo con Laura Dalla Ragione

«L’anima ha bisogno di un luogo». Questa frase, del filosofo greco Plotino, accompagna da sempre il lavoro di Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, fra le massime esperte nel campo dei disturbi alimentari. E in queste parole ben si ritrova il senso di un impegno che la vede in prima linea da oltre vent’anni.
La professoressa Dalla Ragione è direttore della Rete per i disturbi del comportamento alimentare della Usl 1 dell’Umbria e docente al Campus Biomedico di Roma, nonché autrice di numerosi libri sul tema. Per Mondadori Università è da poco uscito
Disagio e comportamenti a rischio in adolescenza. Una guida per comprendere e prevenire. Sa bene quanto sia importante, per chi è malato, trovare un luogo che sappia accogliere il dolore. Ed è su questa convinzione che ha dato vita a spazi di cura altamente specializzati che racchiudono in sé anche l’essenza di una “casa”.
«Luoghi dove sentirsi amati. Perché chi soffre di disturbi alimentari ha bisogno d’amore. E ha necessità di ritrovare la propria armonia», sottolinea. «La rinuncia al cibo, o il suo abuso, sono un tentativo, seppur goffo, di trovare un baricentro. Perché queste ragazze, questi ragazzi, si sentono “esiliati” sia dal corpo che dall’anima. Non è solo il corpo che non abita più il mondo; è anche l’anima che non è più presente a sé stessa. Ecco perché, allora, è importante far ritrovare loro quel centro di gravità che hanno perduto».
Professoressa, lei si occupa di disturbi dell’alimentazione dall’inizio degli anni 2000. Quali trasformazioni ha visto in questi decenni?
Fino a quel momento, i casi non erano tantissimi. Poi, però, è scoppiata un’“epidemia” che non si è mai più arrestata e che ha avuto un aumento sempre più preoccupante. L’ultima rilevazione del Ministero della Salute ci dice che oggi ci sono circa tre milioni di persone ammalate. Un dato che racchiude in sé cambiamenti allarmanti. A cominciare dall’età in cui i disturbi si manifestano.
Oggi ci sono pazienti giovanissimi, perché l’età d’esordio si è decisamente abbassata. Il 30 per cento del numero che le ho citato è rappresentato da preadolescenti che hanno meno di 14 anni, a volte anche 10, 11 anni. Va sottolineato anche che, se agli inizi degli anni 2000, i maschi erano l’1 per cento dei malati, oggi nella fascia d’età fra i 12 e i 17 anni sono il 20 per cento.
La sensazione è che i disturbi siano molto più legati anche ad altre problematiche. I disturbi alimentari sono correlati alla cultura del tempo. E oggi non sono più “puri” – ovvero non si parla più solo di anoressia, bulimia, alimentazione incontrollata… – ma sono associati in maniera molto stretta, almeno nel 40 per cento dei casi, a patologie quali la depressione, l’ansia, i disturbi ossessivi e di personalità, l’autolesionismo.
Anche il rapporto con il cibo è cambiato.
Ci sono forme di anoressie che si nascondono dietro comportamenti alimentari socialmente “accettati”. Ci si nutre solo di verdura, di frutta, di yogurt… Alla base di queste “scelte”, però, c’è sempre l’ossessione per il controllo sul peso. E ancora, vediamo il diffondersi di due patologie nuove. L’ortoressia, l’ossessione per il cibo “sano”. Si mangiano solo pochissime cose, perché si teme che la maggior parte del cibo sia “contaminato”. E la diabulimia, un disturbo alimentare ancora poco conosciuto che colpisce chi soffre di diabete di tipo 1. Si riduce o si evita di assumere l’insulina, con l’obiettivo di perdere peso rapidamente. Un comportamento estremamente rischioso, che può avere conseguenze gravissime. La costellazione dei disturbi alimentari cambia in continuazione, complici anche certi “modelli”, fisici e alimentari, ai quali le piattaforme social danno sempre più diffusione.
Ci sono forme di anoressie che si nascondono dietro comportamenti alimentari socialmente “accettati”. Ci si nutre solo di verdura, di frutta, di yogurt… Alla base di queste “scelte”, però, c’è sempre l’ossessione per il controllo sul peso. E ancora, vediamo il diffondersi di due patologie nuove. L’ortoressia, l’ossessione per il cibo “sano”. Si mangiano solo pochissime cose, perché si teme che la maggior parte del cibo sia “contaminato”. E la diabulimia, un disturbo alimentare ancora poco conosciuto che colpisce chi soffre di diabete di tipo 1. Si riduce o si evita di assumere l’insulina, con l’obiettivo di perdere peso rapidamente. Un comportamento estremamente rischioso, che può avere conseguenze gravissime. La costellazione dei disturbi alimentari cambia in continuazione, complici anche certi “modelli”, fisici e alimentari, ai quali le piattaforme social danno sempre più diffusione.
Anche la Rete, dunque, ha modificato questo contesto?
I social hanno un ruolo importante. Non sono la sola causa, perché sarebbe una chiave di lettura troppo semplicistica attribuire loro tutta la responsabilità, ma sono sicuramente un grande canale di diffusione per due temi strettamente legati a questi disturbi. L’immagine corporea, “photoshoppata” e filtrata in maniera sempre più sofisticata. E l’ossessione per tutto ciò che ruota intorno al cibo. Basti pensare che la parola food è una delle più cliccate in tutti i motori di ricerca…
I social hanno un ruolo importante. Non sono la sola causa, perché sarebbe una chiave di lettura troppo semplicistica attribuire loro tutta la responsabilità, ma sono sicuramente un grande canale di diffusione per due temi strettamente legati a questi disturbi. L’immagine corporea, “photoshoppata” e filtrata in maniera sempre più sofisticata. E l’ossessione per tutto ciò che ruota intorno al cibo. Basti pensare che la parola food è una delle più cliccate in tutti i motori di ricerca…
Sono cambiate, nel tempo, le cause all’origine dei disturbi alimentari?
I fattori in gioco sono molteplici: psicologici, familiari, culturali, genetici. E, come dicevo, oggi più che mai sono strettamente collegati al momento che stiamo vivendo. I disturbi alimentari interpretano il disagio contemporaneo, sono una nuova forma di depressione, attraverso la quale prendono forma un malessere e un’angoscia più profondi. Nel 2023 ci sono state 3.250 morti di persone con diagnosi correlate ai disturbi alimentari. Non si muore certo perché si vuole essere belli e magri, però. Si muore perché c’è una difficoltà a vivere, a sentirsi bene nel mondo. E credo che questo sia fondamentale da sottolineare.
I fattori in gioco sono molteplici: psicologici, familiari, culturali, genetici. E, come dicevo, oggi più che mai sono strettamente collegati al momento che stiamo vivendo. I disturbi alimentari interpretano il disagio contemporaneo, sono una nuova forma di depressione, attraverso la quale prendono forma un malessere e un’angoscia più profondi. Nel 2023 ci sono state 3.250 morti di persone con diagnosi correlate ai disturbi alimentari. Non si muore certo perché si vuole essere belli e magri, però. Si muore perché c’è una difficoltà a vivere, a sentirsi bene nel mondo. E credo che questo sia fondamentale da sottolineare.
Fra i più giovani c’è consapevolezza su questo tema?
Sì, perché purtroppo la percentuale di chi soffre di un disturbo alimentare è molto alta e ormai la maggior parte dei ragazzi ha avuto qualcuno vicino con questo problema. Altra, invece, è la percezione di chi è malato. Perché quello alimentare è un disturbo cosiddetto egosintonico, quindi chi ne soffre non è consapevole di averlo. Anzi, ha un’alterazione dello schema corporeo per cui non riesce a vedersi per com’è nella realtà ma si vede sempre troppo grasso, in particolare in alcune parti del corpo - le gambe, le braccia, le cosce, la pancia, il seno… - che appaiono enormi. A proposito di consapevolezza, c’è un altro tema da evidenziare. Spesso il modo in cui si parla dei disturbi alimentare può essere fuorviante, perché punta a una sorta di “spettacolarizzazione”. Ci si focalizza solo sul peso, troppo o troppo poco, ma non si tiene conto della sofferenza mentale che può essere drammatica anche in chi appare normopeso. È importante allora saper cogliere tutti i segnali, anche quelli apparentemente meno forti.
Sì, perché purtroppo la percentuale di chi soffre di un disturbo alimentare è molto alta e ormai la maggior parte dei ragazzi ha avuto qualcuno vicino con questo problema. Altra, invece, è la percezione di chi è malato. Perché quello alimentare è un disturbo cosiddetto egosintonico, quindi chi ne soffre non è consapevole di averlo. Anzi, ha un’alterazione dello schema corporeo per cui non riesce a vedersi per com’è nella realtà ma si vede sempre troppo grasso, in particolare in alcune parti del corpo - le gambe, le braccia, le cosce, la pancia, il seno… - che appaiono enormi. A proposito di consapevolezza, c’è un altro tema da evidenziare. Spesso il modo in cui si parla dei disturbi alimentare può essere fuorviante, perché punta a una sorta di “spettacolarizzazione”. Ci si focalizza solo sul peso, troppo o troppo poco, ma non si tiene conto della sofferenza mentale che può essere drammatica anche in chi appare normopeso. È importante allora saper cogliere tutti i segnali, anche quelli apparentemente meno forti.
A che cosa fare attenzione?
Bisognerebbe riuscire a stare sempre in ascolto dei ragazzi. E della loro sofferenza, anche di quella meno evidente. Non si dovrebbero sottovalutare quei segnali, apparentemente minimi, che però potrebbero già essere indicativi di comportamenti anomali rispetto a una corretta alimentazione. Restringere o selezionare troppo il cibo, andare spesso al bagno mentre si è a tavola, fare tanta, tantissima, attività fisica… Atteggiamenti spesso accompagnati anche da vistosi cambiamenti di carattere. Ragazzi solari, allegri, brillanti che all’improvviso diventano tristi, introversi, aggressivi. Tutto ciò dovrebbe immediatamente far scattare un campanello d’allarme e indurre i genitori, ma anche gli insegnanti, a cercare supporto in un centro specializzato. Indicazioni sulle strutture, ma anche consigli su come riconoscere meglio i segnali, si possono avere rivolgendosi al numero verde voluto dall’Istituto Superiore di Sanità (800.180.969) o consultando il sito www.piattaformadisturbialimentari.iss.it.
Bisognerebbe riuscire a stare sempre in ascolto dei ragazzi. E della loro sofferenza, anche di quella meno evidente. Non si dovrebbero sottovalutare quei segnali, apparentemente minimi, che però potrebbero già essere indicativi di comportamenti anomali rispetto a una corretta alimentazione. Restringere o selezionare troppo il cibo, andare spesso al bagno mentre si è a tavola, fare tanta, tantissima, attività fisica… Atteggiamenti spesso accompagnati anche da vistosi cambiamenti di carattere. Ragazzi solari, allegri, brillanti che all’improvviso diventano tristi, introversi, aggressivi. Tutto ciò dovrebbe immediatamente far scattare un campanello d’allarme e indurre i genitori, ma anche gli insegnanti, a cercare supporto in un centro specializzato. Indicazioni sulle strutture, ma anche consigli su come riconoscere meglio i segnali, si possono avere rivolgendosi al numero verde voluto dall’Istituto Superiore di Sanità (800.180.969) o consultando il sito www.piattaformadisturbialimentari.iss.it.
Come far ritrovare, a chi si ammala, un punto fermo dentro di sé, da cui ripartire?
All’inizio, si è convinti di non avere nessun problema e spesso si arriva dallo specialista “spinti” a forza dai genitori. Il punto centrale da trovare, allora, è proprio la motivazione alla cura, che però è sempre diversa e molto personale. Io ho avuto una paziente, affetta da bulimia, che vomitava più volte al giorno. Amava molto cantare e la musica era la sua grande passione. Ed è stata proprio questa passione la sua motivazione. Perché, quando ha scoperto che il vomito rovina le corde vocali, si è resa conto che avrebbe potuto perdere il sogno della sua vita. E allora ha accettato di farsi curare. Non c’è un protocollo uguale per tutti. Bisogna saper ascoltare, per trovare un “varco” da cui entrare nella sofferenza e da lì poi costruire insieme un percorso di cura.
All’inizio, si è convinti di non avere nessun problema e spesso si arriva dallo specialista “spinti” a forza dai genitori. Il punto centrale da trovare, allora, è proprio la motivazione alla cura, che però è sempre diversa e molto personale. Io ho avuto una paziente, affetta da bulimia, che vomitava più volte al giorno. Amava molto cantare e la musica era la sua grande passione. Ed è stata proprio questa passione la sua motivazione. Perché, quando ha scoperto che il vomito rovina le corde vocali, si è resa conto che avrebbe potuto perdere il sogno della sua vita. E allora ha accettato di farsi curare. Non c’è un protocollo uguale per tutti. Bisogna saper ascoltare, per trovare un “varco” da cui entrare nella sofferenza e da lì poi costruire insieme un percorso di cura.
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