Ma adesso chi la ricostruisce Gaza?
Israele e Hamas cercano un accordo di pace: quando lo troveranno per ricostruire la Striscia ci vorranno decenni. Ecco come

Questo è uno degli articoli della pagina centrale di Popotus, il giornale di attualità per bambini in edicola ogni giovedì allegato ad Avvenire. L'argomento è stato stato affrontato, insieme a molti altri, nel numero del 9 ottobre.
A Sharm el Seikh, in Egitto, i rappresentanti dello Stato di Israele e di Hamas, il gruppo terroristico palestinese – in guerra dal 7 ottobre 2023 nella Striscia di Gaza – stanno discutendo un piano per la pace. Dovranno accordarsi su ben venti punti, proposti dal presidente americano Donald Trump, e che riguardano come, quando e quanti ostaggi rilasciare da entrambe le parti, la gestione degli aiuti umanitari, chi rimarrà nella Striscia alla fine del conflitto (sia a governarla sia a garantirne la pace) e dove potrà abitare la popolazione palestinese. Non sarà facile. Anche se il cessate il fuoco dovesse funzionare, però, per Gaza non significherebbe affatto tornare alla normalità. Secondo l’Onu, per ricostruire il territorio ci vorranno miliardi di dollari e decine di anni. Anzitutto bisognerebbe ripulire la zona raccogliendo le macerie, i pezzi di cemento, di case e di strade distrutte sotto i bombardamenti. Gli esperti valutano che si tratti di circa 61 milioni di tonnellate di detriti, una quantità di materiale che più o meno occuperebbe quindici piramidi di Giza o venticinque Torri Eiffel: un’operazione che costerà un miliardo di dollari. Solo a quel punto si potranno ricostruire case, ospedali, scuole ma anche reti elettriche e fogne: serviranno 80 miliardi e vent’anni.
Chili e chili di macerie
Nella Striscia di Gaza non possono entrare giornalisti né operatori umanitari. Perciò capire quanto è grave la situazione (e quanto bisognerà rimboccarsi le maniche, una volta firmata la pace) si può fare solo sbirciando dall’alto. Grazie alle immagini satellitari, l’organizzazione delle Nazioni Unite ha scoperto che il 78% dei 250mila edifici della Striscia è stato danneggiato e più della metà è completamente distrutto. Il 90% delle scuole – cioè quasi tutte – sono state gravemente danneggiate e nessuna università è rimasta in piedi. Sembra che per ogni metro quadro siano accatastati in media 383 chili di macerie. A complicare la ricostruzione è anche la titubanza dei donatori internazionali che saranno chiamati nella ristrutturazione edilizia: pochi Paesi investiranno i loro soldi nel progetto se non avranno la certezza assoluta che la guerra non si ripeterà più.
Fragole da ripiantare
Tra le attività che a Gaza dovranno ripartire da zero c’è l’agricoltura. Alcuni terreni sono stati occupati dall’esercito israeliano e sono diventati inaccessibili: è successo a Beit Lahia, un paese nel nord un tempo famoso per le sue fragole, gli agrumi e i vecchi alberi di sicomori e che ora invece è abbandonato, con fattorie e sistemi di irrigazione completamente distrutti. Altri campi sono stati bruciati, rovinati dal passaggio dei carri armati o contaminati da sostanze inquinanti e dovranno essere riqualificati per tornare a produrre. Secondo la Fao, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, dei 15mila ettari di terreni coltivabili a Gaza prima della guerra, solo 232 sono ancora lavorabili: è come se di una scacchiera con 64 caselle ne fosse rimasta soltanto una. Pessima situazione anche per il bestiame: polli, mucche e pecore sono stati decimati.
Acqua pulita nel 2042
Gaza è un territorio desertico e, da sempre, soffre di una grave carenza d’acqua. La sua unica fonte di acqua dolce è una falda sotterranea che, negli anni, a furia di essere sfruttata è diventata sempre più salata. Per renderla bevibile nella Striscia c’è – anzi, c’era – un impianto di desalinizzazione che prende l’acqua dal mare e la spinge attraverso un filtro per ripulirla ma che ora è stato in gran parte chiuso perché manca l’energia per alimentarlo. Gli attacchi aerei hanno distrutto anche i pozzi, i serbatoi, i depuratori e l’intero sistema fognario; così milioni di palestinesi sono a rischio disidratazione ed esposti a malattie legate all’acqua sporca. Secondo l’Unep, il programma ambientale dell’Onu, ci vorranno cinque anni per tornare almeno agli standard igienici minimi dell’acqua nella Striscia ma perché l’intero sistema idrico riprenda toccherà aspettare il 2042.
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