Famiglia, figli, stabilità: come si immaginano a 40 anni gli adolescenti
Nella ricerca condotta dal Cremit dell'Università Cattolica di Milano e promossa da Scuolattiva e Avvenire una fotografia dettagliata e inedita dei nostri ragazzi

Scienziato o panettiere? Non sapeva chi voleva diventare, Giuseppe, a diciott’anni, stretto tra le aspettative dei suoi genitori e la sua passione tenuta nascosta, mai detta ad alta voce per paura e un po’ anche per vergogna. Finché qualcuno l’ha ascoltato e gli ha detto che le cose potevano stare insieme, che panificando avrebbe potuto studiare dal punto di vista scientifico miscele di farine e tipi di cottura e tecniche di impasto. E che non esistono categorie, o una strada da cercare: «La strada te la devi creare tu ». Come? Loro, i ragazzi tra i 16 e i 18 anni, hanno le idee chiare in proposito: al futuro pensano spesso con un bisogno profondo di stabilità, di autenticità, di legami veri. Ma strada facendo incontrano le richieste e le pressioni di un mondo adulto che troppo spesso non li ascolta, concentrato su se stesso, sordo: «Succede a scuola, succede a casa – spiega loro lo psicoterapeuta Matteo Lancini, incontrandoli in un’aula dell’Università Cattolica, dove ieri è stata presentata l’indagine condotta dal Cremit dell’Università Cattolica di Milano insieme a Scuolattiva onlus e Avvenire su 752 studenti e su come si immaginino a 40 anni –. Succede che vi viene chiesto di mettere da parte tutte le vostre emozioni, di silenziarle, succede che siete valutati solo coi numeri o coi test, che siete stati spinti a chiudervi nelle vostre camere davanti agli smartphone piuttosto che lasciati liberi di giocare a pallone nelle piazze, per poi sentirvi dire che lo smartphone lo usate troppo e vedervelo vietato ». Già, le lacune e le grandi incertezze del mondo adulto, l’educazione ridotta a didattica, o controllo, o legge. I numeri dicono che i ragazzi a tutto questo reagiscono con angoscia, con ansia, ma che allo stesso tempo a 40 anni si vedono (si vorrebbero) tutto sommato felici, sul modello dei percorsi intrapresi da quegli stessi adulti che spesso dicono di odiare: laureati (un bel 77%), con un contratto a tempo indeterminato (il 70%), al lavoro in presenza (oltre il 70%), sposati (il 65%), genitori (ben l’80%, di cui oltre la metà di più figli), possibilmente in una situazione di stabilità, intesa come condizione di conciliazione tra lavoro e famiglia (l’auspicio è ovviamente che nel loro futuro sia più realizzata di quanto lo è oggi).

Fuori dalle aule, il tempo libero è dominato da musica, amici e social network ( «perché i nostri genitori non capiscono che per noi il tempo che passiamo lì è importante?» una delle domande poste a Lancini), con lo sport in posizione più defilata. Per dire chi sono, questi adolescenti scelgono le canzoni. E così Cremonini, Vasco Rossi e Mr. Rain diventano le voci della speranza e del cambiamento; Ghali, Baby Gang e Capo Plaza raccontano le paure, la fatica di crescere, la voglia di riscatto. Coldplay e i vecchi Queen offrono leggerezza e magia. In fondo, la loro playlist del futuro è un piccolo poema collettivo, oscillante tra ansia e sogno, caduta e rinascita. Alla domanda «che parola associ al futuro? », le risposte più frequenti sono cambiamento, responsabilità, ambizione, indipendenza economica, ma anche speranza e paura. E non manca un segnale di vitalità sociale: il 42% dei ragazzi (con una percentuale decisamente più alta tra le ragazze) ha fatto esperienze di volontariato, perlopiù in parrocchie, doposcuola o associazioni sportive. Proprio il volontariato sembra agire come una lente positiva: chi si mette al servizio degli altri tende a immaginare il domani in modo più attivo, luminoso. È come se la gratuità restituisse ordine al disordine, un senso all’incertezza. Un misto di forza e fragilità che si ritrova in tutto: nella curiosità che prevale sull’indifferenza, nell’ansia che alla fine lascia spazio alla calma, e poi di nuovo alla tensione. Sullo sfondo la coscienza del limite che abita il nostro tempo: i timori per l’ambiente, per le guerre, per l’instabilità globale, il difficile rapporto con le tecnologie. Un tempo che continua a giudicare gli adolescenti distratti, inerti, e che continua a sbagliare.

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