Oltre la maternità: crescere figli senza perdere se stesse

Tra miti storici e pressioni sociali Laura Pigozzi, nel suo nuovo libro “Non solo madri”, affronta il viaggio che porta a riconoscere come la cura può convivere con la propria realizzazione personale
December 5, 2025
Una mamma col suo bambino
Una mamma col suo bambino
Laura Pigozzi torna a parlare di maternità nel suo ultimo libro, Non solo madri (Raffaello Cortina Editore). Tema già largamente esplorato dall’autrice soprattutto in Mio figlio mi adora, che mise in luce con coraggio e chiarezza il possibile «danno da plusmaterno», quell’ipercontrollo possessivo che limita e non favorisce la crescita e lo sviluppo della personalità. In questo nuovo lavoro, Pigozzi affronta, con la medesima schiettezza e senza timori reverenziali, una angolatura precisa del materno senza tempo. Potremmo definirla a partire da una domanda: è possibile che la madre non oscuri o elimini la donna? Se ci sono meno figli, in tempi di triste denatalità, ci sono anche meno madri. Neppure gli sforzi più efficaci e lodevoli di quei governi che sostengono la maternità e la paternità riescono a modificare il trend negativo. Finalmente sta emergendo, dunque, una riflessione che vada ad indagare, alla base di tanta scarsa voglia di generare figli, cause più profonde che non quelle economico-finanziarie. È finito il tempo in cui una donna sapeva di dover coincidere, per forza di cose, con il diventare madre. Avrò figli è una frase che esiste solo con il punto interrogativo: sarò madre? In tal senso Non solo madri può sicuramente portare un contributo per sostenere motivazioni che diremmo «moderne», da proporre ad una donna del nostro tempo per considerare la bellezza della maternità. «Tutte le madri dovrebbero avere un’altra vita. E una vita altra. Ogni madre dovrebbe avere la possibilità di essere anche una donna, anche se non la stessa di prima». Queste parole, nel libro di Pigozzi, non costituiscono affatto solo una bella frase, che immancabilmente troverebbe tutti d’accordo. Diventano la proposta per un progetto di maternità. Qualcuno potrebbe obiettare: già la ragazza moderna non ha grandi aspirazioni a diventare mamma (a leggere le cifre delle nascite), perché mai dovremmo ricordarle che è una donna emancipata, libera, e che non deve rinunciare neppure con la maternità alla propria personale realizzazione?
È proprio in questo snodo che risiede l’interesse più vivace del lavoro di Pigozzi. Viene infatti da domandarsi se, nei secoli, non abbiamo come «appesantito» l’identità del materno, facendola coincidere con una missione talmente impegnativa da diventare soffocante, così specializzata da risultare impossibile, a tal punto leggendaria e mitica da divenire improponibile. Pigozzi non scrive mai «contro» la madre ma «oltre» la maternità. Per ricordare che avere un figlio non è tagliare i ponti con tutto, pensando che questo sostenga e aiuti la prole. E in questo «oltre» sembra svelarsi una sorta di opportuna e liberante semplificazione. Il che non significa affatto non contemplare la responsabilità della madre. Significa invece – tipo edizione critica – alleggerirla da visioni e prospettive che nei secoli l’hanno presentata come una vocazione al limite del solitario eroismo. L’autrice ha detto, in una intervista: «Eliminiamo il modello di madre che dimentica il partner, le amiche, che non si fida a lasciare il suo bambino con un altro adulto, che siano i nonni o la baby-sitter». Si chiede, nel libro, Pigozzi: «Come diventare madri senza perdersi in questo tutto, che non è solo una moda passeggera, ma qualcosa che il materno porta con sé in modo intrinseco e costitutivo e che oggi pericolosamente si cavalca? Il materno, senza una cornice simbolica di senso e funzione, tracima dai confini, si fa totalità invasiva, amore senza soglia». Presentare alle giovani donne la bellezza della maternità non significa presentare loro il collasso dell’altra vita o l’ingresso in una dorata prigione da cui rivedere un po’ di cielo verso i sedici anni del piccolo. Significa presentare la chiamata ad una identità da ricomprendere: diventare una persona al servizio della crescita della vita. Di tutte le vite, la propria, quella del marito, del compagno, degli amici. La madre può essere testimone di relazioni abbondanti, diversificate. Diventare mamma apre a prendersi cura del mondo, non è il mondo che si chiude sopra di sé. Inventare un’aggiornata idea di maternità potrebbe aiutare la maternità stessa. Più mamme e meno maternità mitica. Più mamme che crescano come donne, anche grazie ai figli, non nonostante loro. Nei secoli della storia del cristianesimo la figura di Maria ha senza dubbio sostenuto tante donne credenti ad identificarsi con una missione. Se c’è la Madre di Dio, può aiutare anche me. Un tratto importante della fede popolare. Ma se i secoli passati sono, socialmente, quelli della donna solo moglie e madre, la fede crede che la stessa Madre di Dio possa e ben sappia parlare anche alla nuova generazione di madri dei nostri giorni. In fin dei conti, il fate quello che vi dirà di Cana è tutto fuorché plusmaterno. È, invece, la coscienza perfetta che essere madre è lasciar crescere il talento dei figli. 

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