mercoledì 26 gennaio 2022
Dai pannelli solari ai computer a Cumiana, alle porte di Torino, si dà nuova vita ad oggetti di ogni tipo che vengono riparati e spediti nei Paesi in via di sviluppo
Tecnologia scartata in missione con Re.Te.
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In Burkina Faso è appena atterrato un frigorifero che ha una novità: funziona solo con pannelli solari e non ha bisogno di batterie per l’accumulo di energia, di solito necessarie e difficili da smaltire. È arrivato in una scuola e ora gli studenti lo stanno studiando. La sua destinazione ultima è una comunità dove la povertà alimentare è ancora un problema. Conservare gli alimenti anche senza energia elettrica di rete, lì, può fare la differenza. A inventarlo e spedirlo sono i volontari della Re.Te., Restituzione Tecnologica, un gruppo con sede a Torino. Operazioni come questa sono all’ordine del giorno: «Usiamo la tecnologia e le nostre competenze a servizio delle situazioni di povertà e fragilità» spiega Rinaldo Canalis, uno dei fondatori del gruppo. Con lui ci sono tecnici, esperti, appassionati, giovani e adulti, che offrono gratuitamente le proprie professionalità. Che sia rendere potabile l’acqua in una zona rurale del Bangladesh, rimettere in moto un pozzo in Eritrea, fornire energia a un monastero ortodosso in Georgia, il meccanismo è sempre lo stesso. Da una terra in cui operano missionari arriva una richiesta – c’è bisogno di luce, c’è bisogno di acqua, c’è bisogno di impermeabilizzare il suolo – e la Re.Te. si ingegna per trovare una soluzione. «Ci facciamo carico delle esigenze che arrivano da vicino o da lontano» spiega Canalis. «La nostra regola è agire con chi abita in loco tramite un percorso che si fa insieme». Uno dei punti principali della filosofia della Re.Te. è proprio 'l’autosviluppo': si opera perché i beneficiari diventino sempre più protagonisti e responsabili degli aiuti che ricevono. «Camminare insieme agli altri è molto più faticoso che costruire cattedrali nel deserto, ma è molto più efficace » specifica Canalis.

Il gruppo è nato all’interno del Sermig, Arsenale della Pace di Torino, l’ex fabbrica militare trasformata da Ernesto Olivero e sua moglie Maria Cerrato in una casa sempre aperta per i poveri e per i giovani. «Dobbiamo credere che da soli non andiamo da nessuna parte e che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Così la speranza diventa un fatto» dice spesso Olivero. La Re.Te. ha incarnato il proposito: dal 1981, ha realizzato oltre 3.700 interventi di sviluppo in 155 Paesi. Tra i beneficiari ci sono, ad esempio, i frati Francescani in Guinea Bissau, le Teresina Sisters in Tanzania, i padri Camilliani ad Haiti. L’innovazione su cui si sono concentrati i primi progetti è stata l’energia solare. «All’epoca il fotovoltaico costava parecchio. Così abbiamo creato una rete di contatti per recuperare pannelli da tutta Italia. Li controlliamo e poi li inviamo nel mondo». I primi vennero spediti in Kenya, usati per pompare acqua, e poi in Mozambico. Il frigorifero inviato in Burkina Faso è uno dei progetti più recenti, realizzato anche con il sostegno di Fondazione Cariplo e Fondazione Compagnia di San Paolo, che nel 2020 hanno proposto un bando proprio su innovazione e sviluppo. «Ovviamente usiamo anche altri tipi di energia. Stiamo facendo alcuni esperimenti con i thermoelectric generator ( TEG) e con le biomasse». Ma, specifica Canalis, «il nostro appello per ricevere pannelli fotovoltaici è sempre aperto». Le innovazioni della Re.Te. si studiano a Cumiana, un comune di 7.000 abitanti fuori Torino, dove c’è il 'Villaggio Globale': un edificio, un terreno e alcuni container che hanno i nomi dei Paesi del mondo. È una 'palestra dello sviluppo' dove si recupera tutto ciò che si può: «Dobbiamo sempre dare valore allo scarto» ripete più volte Rinaldo. «Se pensiamo che l’innovazione passi solo dal materiale nuovo perdiamo una grande opportunità». Un esempio: alle porte dell’Arsenale della Pace, a Torino, arrivano ogni giorno tonnellate di indumenti usati. «Con una parte vestiamo chi ne ha bisogno. Ma ne inviamo molti in Romania, a Baia Mare. Attraverso le iniziative di padre Albano, un Somasco, vengono venduti nei bazar e tutto il ricavato si usa per la cura dei bambini di strada». È una situazione a cui la Re.Te. tiene molto: «Alcuni di questi piccoli arrivano a scuola senza essere nemmeno censiti all’anagrafe. Nessuno sa che siano nati » racconta Canalis. La filosofia del riuso vale anche per i computer: arrivano alla Re.Te. molti scarti di aziende, vengono resi di nuovo funzionanti e spediti nel mondo. «Dobbiamo mettere più intelligenza perché il mucchietto degli scarti sia sempre più piccolo. Tutto può avere una seconda vita – aggiunge Canalis – se non qui, a qualche metro da noi». Il gruppo della Re.Te. si rivolge anche alle imprese: «Quando abbiamo bisogno di materiale specifico mandiamo degli appelli. Di solito in uno o due giorni troviamo un’azienda che ci dona materiale che non usa più, noi facciamo la manutenzione e ne esce qualcosa che ha un significato». Lo stile della Re.Te. può insegnare qualcosa proprio alle imprese? «Loro hanno i materiali, ma anche l’organizzazione, che è fondamentale per creare sviluppo – spiega Canalis – far nascere nelle aziende una mentalità di restituzione di competenze e tempo ai poveri è un obiettivo profetico. Agli imprenditori dico: provate a entrare in uno stile diverso». È un invito che qualcuno ha accolto. Nel 2017 dalla collaborazione tra Sermig e Astelav, azienda leader nel settore dei ricambi per elettrodomestici, è nata 'Ri-Generation', un’impresa che oggi rigenera elettrodomestici e li distribuisce tramite quattro punti vendita in Piemonte. I posti di lavoro creati sono una decina, destinati principalmente a persone che vivono una situazione di fragilità.

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