
È diventato sempre più complesso fare pubblicità di questi tempi. Non solo per il moltiplicarsi dei supporti che dal digitale ai marciapiedi invadono spazi pubblici e privati, ma anche perché gli argomenti di vendita, dentro scenari sempre più competitivi e globalizzati, hanno finito per immunizzare consumatori e consumatrici ai messaggi promozionali. Resiste chi si ostina a presidiare con determinazione la comunicazione di marca. Non è facile per chi si occupa di marketing proteggere la cassaforte valoriale dalle pressioni commerciali, i team delle vendite sono da sempre il nemico giurato della comunicazione. Loro “stanno sul campo”, la pubblicità sembra appartenere a un mondo più evanescente, effimero, sono felici solo quando scriviamo di vantaggi, sconti e novità. Figurati quando parliamo di attenzione all’ambiente, alle persone, alle comunità, come ghignano sotto i baffi (sì, sono quasi tutti uomini, quelli delle vendite).
Eppure sono i valori il capitale narrativo che permette ai brand di diventare icone culturali, sono i valori a tenere insieme le community di persone che comprano e quelle che sono impegnate all’interno dell’azienda per fare in modo che questi risuonino il più possibile con il mondo fuori. E da qualche tempo a questa parte le imprese più attente a questo tipo di sensibilità hanno scelto la cultura come arena competitiva per veicolare valori, dna, heritage, convinzioni e impegni. Sono spesso aziende che sembrano non obbedire al richiamo vorace del breve termine imposto dagli headquarter delle multinazionali, hanno responsabili marketing, Ceo e seconde generazioni nei posti apicali a dirigere la comunicazione e a investire su attività che propongono il proprio brand all’interno di narrazioni artistiche, mostre, rassegne, fino all’installazione museale. Solamente nelle ultime settimane una marca di occhiali e una distilleria hanno saputo coinvolgere le proprie comunità all’interno di due operazioni che hanno usato fotografia d’autore e letteratura per far parlare del proprio brand.
A dispetto dei luoghi comuni, entrambe queste realtà arrivano dal Nord-Est, terra d’imprenditoria severa, dove i cognomi delle famiglie campeggiano sopra i capannoni degli stabilimenti e la retorica economica li vorrebbe a capo chino e schiena piegata sul fatturato. E invece, Marcolin e Nonino scelgono di far parlare attraverso una mostra e un premio letterario, quest’ultimo in particolare ha festeggiato il cinquantesimo anniversario di un riconoscimento che spesso ha anticipato le scelte dell’Accademia dei Nobel. Letteratura per una grappa e cinque giovani interpreti della fotografia contemporanea per sostenere il racconto di un brand nobile dell’occhialeria come Web Eyewear nella bellissima mostra Framing Light. Parole e immagini, dunque, smaterializzano la loro invadenza pubblicitaria e diventano dispositivi culturali per narrazioni più coinvolgenti e vicine ai valori di brand e prodotti, a risuonare con chi li compra. E quindi, con chi li vende.