mercoledì 26 ottobre 2022
Crescono gli esempi di ragazzi che hanno scelto la pastorizia. La storia del 18enne Elay: non rinuncio a ciò che ogni giorno mi regala la natura
Se il pastore può essere anche un mestiere per giovani
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Ci sono ragazzi che hanno molti 'grilli' per la testa. E altri che preferiscono avere molte 'pecore' in testa. Sono i pastori: barbuti, anziani e scontrosi, come la tradizione ce li ha tramandati. Ma anche giovani, tecnologici e aperti. Due generazioni a confronto, quella di ieri e oggi, che nell’insieme costituiscono un piccolo 'esercito di lana' fatto di pastori sparsi per tutto il nostro Paese. Sono circa duemila, i pastori che custodiscono 6.934.381 pecore circa, di 63 razze differenti e 1.045.306 capre, senza contare asini e cani al seguito. Stando ai dati si potrebbe pensare che siamo letteralmente invasi dalle pecore?! In parte è così, considerando che un tempo le greggi erano ancora più numerose e la pastorizia era tra le principali attività umane. Poi l’industrializzazione ha ridotto di molto (se non quasi del tutto) l’occupazione e la produzione di lana. Fine di un’epoca o quasi. E fine del mondo pastorale? In alcune regioni stanno scomparendo, in altre come la Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia o Abruzzo, storicamente vocate alla pastorizia e transumanza, rappresentano le ultime aree di un mestiere antico.

E i giovani? Sembrano tornare alla pastorizia, come dimostra l’aumento di 200mila pecore rispetto al 2011. Sono sempre più frequenti gli esempi di ragazzi/e dai diciotto anni in su, che hanno scelto di cambiare vita. Qualcuno in maniera radicale, altri più morigeratamente entrando nell’azienda familiare, ma tutti con una caratteristica in comune: la passione! Sì, perché quello del pastore moderno, lo fai solo se spinto dalla passione. Sono tanti i sacrifici e le rinunce alla modernità che questo mestiere richiede, al punto da faticare a enunciarle tutte. Gli esempi non mancano, e storie di giovani pastori si sentono qua e là. Noi ve ne raccontiamo due, intrinsecamente legate tra loro dall’amicizia: quella del giovane 'maestro' Manuel Carotta, vicentino di 24 anni e del suo ancora più giovane allievo Elay Cerra di 18, entrambi di Valdastico nell’omonima valle sul confine tra Veneto e Trentino. Stesso paese, medesima passione e identico lavoro, come pure la speranza di potere avere un giorno un gregge tutto loro. Li raggiungiamo inerpicandoci tra le montagne trentine, dove sono in alpeggio, distanti uno dall’altro qualche decina di chilometri. Ancora poche ore di pascolo e ripartono per la transumanza nei pascoli più bassi: «Non era mai successo a noi, come pure ai nostri pastori più anziani, di dover lasciare gli alpeggi così presto per mancanza di erba. La siccità quest’anno non ci lascia scampo, mettendo in difficoltà noi e gli animali, per i repentini cambiamenti climatici in corso» affermano loro. Elay, è un nome alquanto particolare? «Non è un nome d’arte o soprannome da pastore. Me l’ha dato mia mamma che sentendo l’etimologia di 'libero' in ebraico, ha forse anticipato lo spirito che mi ritrovo oggi!».

È giovane, anzi giovanissimo, diciotto anni appena compiuti con due occhi azzurri belli vivaci, tanto da essere definito il più giovane pastore d’Italia. «L’hanno scritto su un giornale nazionale. Diciamo che di ragazzi della mia età che pascolano pecore, non ne conosco. Forse è così…». Ma cosa spinge un giovanissimo a pensare al suo futuro come pastore? «La passione che ti viene da dentro. È difficile da comprendere, ma quando vedo una capra o una pecora, sento qualcosa che fatico a raccontare!». Cosa si sente? «Felicità! È dal 2020 che sono diventato pastore. Finite le superiori ai Salesiani di Schio ( Vi), dissi ai miei genitori: 'Vado a pascolare le pecore!'. Sono l’unico di cinque fratelli che ha deciso di fare il pastore. Sono quindi la 'pecora nera' della famiglia, felice di fare quello che fa, anche se mi sento continuamente ripetere dai miei: torna a casa. Trovati un lavoro fisso. Fai come fanno i tuoi amici…». Elay, però, preferisce la vita pastorale: «Mi piace e mi sento libero con le mie capre e pecore. Dico le capre perché sono meno testarde delle pecore». Ad oggi ha trenta animali tra capre bergamasche e pecore, più un asino: «Il mio sogno è arrivare a 800900 animali che è il numero di un buon gregge. Ci vorrà tempo, ma spero proprio che un giorno arriverò ad avere il mio gregge». Ecco il racconto della sua giornata tipo: «Il pastore fa il pastore 24 ore al giorno, senza feste o vacanze. La sveglia è verso le 5 del mattino. Si inizia con l’allattare gli agnelli e contare i nuovi nati durante la notte. Poi si porta il gregge al pascolo. Pranzo al sacco o con il fornelletto a gas. Verso le 14 si torna ad allattare gli agnellini e poi pascolo libero fino alle 20-21. Nel frattempo, si prepara il recinto per la notte e alle 23 finalmente in branda…In montagna, normalmente io e il mio socio dormiamo a malga Zingarella nell’Altopiano di Asiago su un letto vero. D’inverno invece quando ci troviamo in pianura , capita spesso di dover dormire nel camion o sotto una tettoia col sacco a pelo».

A chi deve questa determinazione? «Principalmente al mio amico Manuel Carotta, il primo ad avermi dato l’esempio e incoraggiamento, che considero come un fratello. Poi ci sono i miei due soci Luca e Maurizio Magonara, che oltre dei pastori di vecchia data, sono i miei secondi genitori». Il giovane pastore dice di non soffrire di solitudine: «Posso mai sentirmi solo con 700 pecore?! Ci si abitua alla solitudine e poi chi mi vuole, sa dove trovarmi». Elay usa i social media, posti immagina delle sue giornate, di pecore e cani, ma non li ritiene strumenti indispensabili: «Li utilizzo per contattare gli amici che magari non vedo da tempo, anche se può capitare di stare dentro una valle per tre mesi senza avere connessione, e quindi isolato, dimostrando così che si può vivere anche senza cellulare per lungo tempo». A spaventarlo «più ancora del lupo che spesso si avvicina al gregge, è la burocrazia degli uomini». Il rapporto di Elay con i suoi cani è strettissimo: «Sono i miei angeli custodi: Ferro, Nepal, Arte e Dora. Quest’ultima poi è come fosse la mia 'morosa', vivendo trecentosessantacinque giorni l’anno, giorno e notte con me. Ecco perché ripeto, non potrei cambiare vita, anche se mi offrissero migliaia di euro e un posto fisso! Non potrei perdere quello che ogni giorno la natura mi regala con tutte le sue creature. Emozioni che non tutti possono comprendere fino in fondo, finendo col pensare che sono un giovane pastore pazzo!».

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