mercoledì 7 maggio 2025
Le migliori soluzioni di chi ci sta provando
Riportare il verde dentro le nostre città
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Non solo ponti verdi e giardini urbani verticali. Ma anche protezioni costiere realizzate con ostriche piatte, parcheggi urbani pavimentati con materiali ecologici porosi e sistemi di depurazione delle acque grigie alimentati da piante anziché da pompe meccaniche energivore. Il mondo delle infrastrutture basate su soluzioni verdi – o, per usare la definizione Onu, nature-based solutions – è in piena espansione, complice anche il nuovo Regolamento europeo del 2024 sulla conservazione e il ripristino della natura (Nature Restoration Law). Elisabetta Salvatori, esperta di ecologia vegetale, studia queste tecniche dal lontano 2002, quando il settore veniva considerato nicchia per pochi visionari. Oggi, dopo oltre vent’anni, non nasconde la soddisfazione: «Finalmente il nostro lavoro viene valorizzato, anche a livello istituzionale e internazionale». Dal 2024 Elisabetta è responsabile della Sezione soluzioni integrate e nature- based per la rigenerazione urbana del Dipartimento Sostenibilità di Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.

Tra gli obiettivi più ambiziosi del Regolamento Ue sulla ripristino della natura – ricorda l’esperta – c’è quello di ricoprire con vegetazione almeno il 10% delle superfici urbane entro il 2050. Una vera rivoluzione, soprattutto per le città italiane, spesso soffocate da cemento e asfalto, ma anche da innumerevoli monumenti. Elisabetta Salvatori parla di una sfida che a qualsiasi romano farebbe sorgere un’espressione di incredulità: portare il verde – anche grazie ai fondi europei – nel primo municipio, ovvero quello di Piazza del Popolo e Piazza Venezia, dove abbondano monumenti marmorei di tutte le epoche ma di alberi non c’è neanche l’ombra. Ma è proprio di ombreggiamenti che c’è disperato bisogno. Spiega ancora l’esperta che nel cuore del Comune di Roma sta portando avanti un progetto per abbassare le temperature che ormai attanagliano tutto lo Stivale nei mesi di luglio e agosto. «Se non si possono piantare gli alberi nel suolo si possono predisporre aiuole adatte a contenerli » e spargere grandi alberi nel centro della città.

Accanto a questi interventi “leggeri”, ci sono poi progetti più strutturali e costosi, come la rimozione del cemento in piazze, parcheggi e aree pubbliche, per sostituirle con pavimentazioni porose (dette anche “a griglia verde”). Queste pavimentazioni permettono all’erba di crescere tra le fughe e all’acqua piovana di filtrare nel terreno sottostante. « I benefici sono molteplici – spiega l’esperta – si abbassa la temperatura urbana, si evita il rilascio notturno del calore accumulato dall’asfalto, e si assorbono meglio le precipitazioni torrenziali, ormai sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico».

Ma cosa succede quando le infrastrutture tradizionali – in gergo dette “grigie” – non possono essere eliminate? Si lavora per mitigarne l’impatto. Fabio Favorido, co-autore del recente report A Value-Driven Approach to Nature-Based Infrastructure, pubblicato da Boston Consulting Group (Bcg) di cui è direttore associato, elenca dei casi molto concreti. Autostrade per l’Italia, ad esempio, ha un piano di gestione di rischi naturali frane e allagamenti – anche considerando che il 70% delle frane europee avviene nel nostro Paese – per meglio integrare l’infrastruttura di trasporto all’interno del contesto idrogeologico e fluviale. Ma anche riforestazione e creazione di “corridoi ecologici” che permettono alla fauna selvatica di attraversare in sicurezza i tratti autostradali.

Tra i casi studio più interessanti di infrastrutture basate su soluzioni naturali citati nel report spicca quello degli acquitrini del Clifton Integrated Constructed Wetland, nello Yorkshire, nel nord dell’Inghilterra. Il sistema, progettato dalla Stantec, specializzata in infrastrutture sostenibili, ha sostituito il tradizionale impianto di trattamento chimico e meccanico (energivoro) delle acque reflue con una soluzione totalmente naturale. «Sono state piantate 24.000 piante, che hanno permesso di ottenere un guadagno netto di biodiversità del 40%», spiega Rob McTaggart, direttore tecnico del progetto. «Il suolo di scavo – continua l’ingegnere – è stato poi riutilizzato per creare una riserva naturale per gli impollinatori accanto al sito, migliorando ulteriormente il valore ecologico dell’area».

Anche se il sito è distante dai centri abitati, la risposta delle comunità locali più prossime è stata «sorprendentemente positiva», garantisce McTaggart. Il ritorno sugli investimenti di questo progetto supera il 320%, spiega Favorido, che nel report evidenzia un concetto chiarissimo ma non assodato: la natura non è solo essenziale per la nostra sopravvivenza, ma rappresenta anche una risorsa economica immensa, stimata in oltre 150.000 miliardi di dollari all’anno, quasi il doppio del Pil mondiale. Basti pensare ai costi ingenti che la Cina deve affrontare per portare avanti l’impollinazione artificiale, vista la degradazione degli ecosistemi e l’assenza di impollinazione naturale. Eppure – ricorda Favorido – questo è un servizio che la natura fa gratuitamente.

Nel report si rileva che su 45 grandi operatori infrastrutturali intervistati, solo il 30% ha già avviato iniziative concrete basate sulle nature-based solutions, mentre la maggior parte si concentra principalmente sull’efficientamento energetico o la riduzione degli sprechi. Il futuro delle infrastrutture, secondo Favorido, dovrebbe vedere tanto legname sostenibile e materiali riciclati, per assorbire anidride carbonica ed evitare nuove estrazioni. Ma serve una spinta più consapevole da parte degli istituti finanziari e degli enti territoriali. «Un grande problema è il coordinamento tra uffici pubblici» ricorda poi Elisabetta Salvatori, che non perde però la motivazione nel suo lavoro. «Tutti amano gli animali – osserva – ma a me da piccola piacevano le piante, e per questo ho iniziato a studiarle per poterle capire». E se potessero parlare, cosa direbbero? L’esperta sorride e tralascia una risposta ovvia, continuando a sognare più verde per la Capitale, ben oltre i giardini verticali.

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