mercoledì 4 maggio 2022
Raccontò Primo Levi a Philip Roth: «Ad Auschwitz ho notato un fenomeno curioso: il bisogno del "lavoro ben fatto" è così radicato da spingere a far bene anche il lavoro imposto, persino schiavistico»
Quando le motivazioni sono giuste ma fragili
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La gestione collettiva dei beni comuni rappresenta una sfida colossale alla naturale propensione umana alla cooperazione a causa del problema dei free-riders. Con questa espressione – letteralmente 'chi viaggia su un mezzo pubblico senza pagare il biglietto' – si indicano in generale tutti coloro che mettono in atto comportamenti opportunistici. Chi, in altri termini, cerca di godere dei benefici di un bene comune o pubblico senza voler sopportare i costi legati alla tutela dei beni comuni o alla produzione dei beni pubblici. Il rischio dell’opportunismo è sempre presente in situazioni nelle quali l’azione collettiva produce dei vantaggi dai quali non è possibile escludere nessuno, come appunto nel caso di beni comuni o beni pubblici. Non è possibile impedire legittimamente ad un bambino di andare a scuola anche se i genitori hanno evaso le tasse, così come non è possibile impedire a qualcuno di passeggiare in un parco anche se a casa sua non fa la raccolta differenziata. Il guaio è che la presenza dei free-riders ha un effetto scoraggiante. La teoria economica mostra che tali comportamenti dovrebbero diffondersi e diventare la norma e, in questo senso, le ricerche di laboratorio supportano con dati incontrovertibili questa previsione.

Gli esperimenti condotti per simulare il comportamento nel caso della produzione volontaria di beni pubblici, una situazione logicamente prossima a quella della tutela dei beni comuni, mostrano però qualcosa in più. Se, da una parte, la teoria prevede che la sola possibilità di comportamenti opportunistici porterà tutti gli individui, che tradizionalmente assumiamo essere razionali e autointeressati, a comportarsi da free-riders e, quindi, a sottoinvestire nella produzione del bene pubblico e a sfruttare eccessivamente il bene comune, dall’altra i comportamenti reali osservati in laboratorio ci dicono una cosa differente. Ci dicono, precisamente, che quel risultato non è immediato, ma è l’esito di un processo dinamico nel quale le persone osservano il comportamento degli altri e adattano il proprio per evitare di avere solo costi e nessun beneficio. Tipicamente quando si deve decidere se fare la propria parte nella tutela del bene comune o nella produzione di un bene pubblico, in media le persone sono disposte a investire parte della loro dotazione monetaria. Questa è una buona scelta a patto che anche gli altri facciano così. Col passare del tempo e con il ripetersi della scelta, spuntano fuori i free-riders: qualcuno cerca di parassitare le scelte cooperative degli altri. Questo, naturalmente, rende meno conveniente cooperare e alla fine scoraggia anche coloro che avevano iniziato cooperando e li spinge a non fare più la loro parte; in questo modo il bene non verrà prodotto ma almeno loro avranno minimizzato i danni. Questa dinamica che è stata osservata in centinaia e centinai di esperimenti condotti in tutto il mondo (cfr. Drouvelis, M., (2021). Social Preferences: An Introduction to Behavioural Economics and Experimental Research. Newcastle Upon Tyne. Agenda Publishing) ci dice quindi, che naturalmente e spontaneamente, almeno all’inizio una buona percentuale dei partecipanti inizia cooperando, facendo la propria parte. Purtroppo, però, in situazioni dilemmatiche di questo tipo non bastano molti cooperatori a convincere tutti a cooperare, mentre bastano pochi free-riders a scoraggiare i cooperatori dal continuare a cooperare. Ancora di più: al crescere del numero dei cooperatori fare il free-rider diventa via via più conveniente. Ma concentriamoci un attimo sul perché molti iniziano spontaneamente a cooperare nonostante questo comportamento non sia previsto. Le ragioni naturalmente possono essere varie e differenziate, ma possiamo certamente affermare che considerare solamente le motivazioni che possiamo definire 'estrinseche', non ci aiuta a comprendere queste scelte. Le motivazioni estrinseche sono quelle che stanno alla base di azioni strumentali, volte al raggiungimento di un certo obiettivo che può essere autointeressato ma anche altruistico. Scelgo di comportarmi in un certo modo perché così potrò ottenere un certo risultato: un maggiore guadagno individuale, un aumento del benessere degli altri, maggior riconoscimento sociale, una condizione di soddisfazione morale. Le azioni motivate estrinsecamente sono, per questo, dei mezzi per il raggiungimento di un dato fine. Sono strumentali. Le nostre scelte, però, non sono tutte motivate estrinsecamente, anche se la teoria economica si concentra esclusivamente su di queste. Esistono anche altre forme di motivazione ed in particolare le motivazioni 'intrinseche'.

Un comportamento viene detto motivato intrinsecamente quando la sua finalità sta nel comportamento stesso. Un bambino non gioca per vincere, gioca perché la sua ricompensa è il gioco stesso. Nonostante le nostre categorie culturali fatichino a riconoscere questo genere di motivazioni, queste, nondimeno, sono piuttosto diffuse. Pensiamo al mondo del lavoro. Tutti noi sperimentiamo, in misura maggiore o minore, è vero, che ciò che facciamo quando siamo al lavoro, lo facciamo solo in parte per la remunerazione monetaria. Quando non dovesse essere così, quando lo stipendio dovesse diventare l’unico movente allora saremmo davanti a lavori privi di senso, inutile o perfino dannosi per il singolo e la società. Primo Levi, ricordando i tempi durissimi del campo di concentramento e dei lavori forzati, confessa in un’intervista a Philip Roth: «Ad Auschwitz ho notato spesso un fenomeno curioso: il bisogno del 'lavoro ben fatto' è talmente radicato da spingere a far bene anche il lavoro imposto, schiavistico. Il muratore italiano che mi ha salvato la vita, portandomi cibo di nascosto per sei mesi, detestava i tedeschi, il loro cibo, la loro lingua, la loro guerra; ma quando lo mettevano a tirar su muri, li faceva dritti e solidi, non per obbedienza ma per dignità professionale ». Dietro il bisogno del 'lavoro ben fatto', della 'dignità del lavoro' ci stanno le nostre motivazioni intrinseche, il sapere che una cosa è giusta e va fatta così perché è giusto farla così. Le motivazioni intrinseche, allora, ci spingono ad un comportamento deontologico, direbbero i filosofi e non consequenzialista, come quello che invece descrive la teoria della scelta razionale. Nella logica deontologica una scelta è migliore di un’altra perché è giusta, indipendentemente dalle conseguenze immediate che quella scelta produce per il singolo. Dire la verità è giusto anche se alle volte può metterci nei guai.

Pagare le tasse è giusto anche se gli altri non lo fanno. Trattare con gentilezza gli altri è giusto anche se a volte gli altri non fanno lo stesso con noi. Le motivazioni intrinseche, dunque, sono una ragione determinante del perché spesso facciamo la nostra parte nel produrre beni pubblici e nel proteggere i beni comuni, perché è giusto così. Quindi queste motivazioni andrebbero promosse e rafforzate. Il problema, però, e che esse sono fragili. La principale differenza tra motivazioni intrinseche e estrinseche è che le prime vengono dall’interno, per così dire, mentre le seconde vengono dall’esterno. Sebbene entrambi i tipi di motivazione siano importanti, hanno effetti diversi sul nostro comportamento. La motivazione estrinseca è utile in alcuni casi. Ad esempio, lavorare per ottenere una ricompensa di qualche tipo può essere utile quando devi completare un’attività che normalmente potremmo trovare spiacevole. La motivazione intrinseca, tuttavia, è in genere più efficace nel lungo periodo nel farci raggiungere certi obiettivi facendoci sentire, al contempo, realizzati. A volte motivazioni intrinseche ed estrinseche sono complementari, altre volte, però, l’uso di ricompense o altri vincoli esterni, invece di far aumentare le motivazioni intrinseche le distrugge. È il fenomeno dello 'spiazzamento motivazionale' ( motivational crowding- out). Non riconoscere l’importanza delle motivazioni intrinseche per il nostro comportamento, in altri termini, ci può portare ad elaborare politiche e pratiche che le distruggono. Visto il legame delle motivazioni intrinseche con i comportamenti 'giusti', come la produzione di beni pubblici e la tutela dei beni comuni, il problema dello spiazzamento motivazionale appare fondamentale per la cura delle radici del nostro vivere comune. Ne esploreremo ancora le ragioni, le conseguenze e le terapie.

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