mercoledì 5 maggio 2021
Negli oltre cento musei e archivi della manifattura storie, documenti, brevetti, contratti di lavoro. L’Italia rivela uno straordinario capitale sociale di bellezza e innovazione
Museo della Fondazione Ansaldo a Milano

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Viviamo tempi difficili, di stress profondi e cambiamenti radicali. E sotto la spinta dei drammatici eventi contemporanei (gli effetti della Grande Crisi finanziaria del 2008, i disastri legati al Climate Change, la pandemia da Covid19 e la recessione conseguente), ci tocca insistere sull’urgenza del 'cambio di paradigma' dello sviluppo economico e sociale e, dunque, rileggere criticamente l’idea di 'progresso' ma anche riconsiderare scelte politiche, economiche, culturali legate alle prospettive dello sviluppo. Proprio quello sviluppo che la Ue ci sollecita a progettare come sostenibile, con un Recovery Plan costruito su green economy e digital economy e centrato sulle nuove generazioni: scuola, formazione di lungo periodo, conoscenza. È un terreno favorevole per le imprese italiane, la loro competitività e la crescita sui mercati internazionali, facendo così da motore per lo sviluppo del Paese, grazie a un’originale miscela d’innovazione e di tradizione. Un’innovazione adattativa, che modifica prodotti e processi produttivi con un sofisticato utilizzo delle tecnologie digitali. E una tradizione che affonda le radici nell’attitudine «a produrre, fin dal Medioevo, all’ombra dei campanili, cose belle che piacciono al mondo», per usare le immagini di sintesi di Carlo M. Cipolla, uno dei maggiori storici contemporanei dell’economia. Le nostre imprese, infatti, sono abituate a fare i conti con 'l’avvenire della memoria'. E la loro è una 'cultura politecnica' frutto di sintesi tra saperi umanistici e scientifici. Il gusto della bellezza, che si ritrova non solo nel design ma anche nelle produzioni di qualità della meccanica, della meccatronica, della gomma e degli altri settori d’eccellenza dell’industria. E un 'saper fare' legato a una civiltà delle macchine in continua evoluzione.

C’è appunto tutto ciò nell’esperienza e nella progettualità delle imprese italiane, che della cultura e della sostenibilità fanno non una scelta di moda o uno strumento di marketing e di comunicazione, ma un vero e proprio un pilastro della capacità di stare sul mercato e avere un solido ruolo di attore sociale responsabile verso tutti gli stakeholders. E sono proprio i musei e gli archivi d’impresa, riuniti in Museimpresa, un’associazione nata vent’anni fa su iniziativa di Assolombarda e Confindustria a darne un’aggiornata testimonianza: storie, prodotti, immagini, documenti, brevetti, contratti di lavoro, etc. Segni d’una evoluzione di culture e tecniche che oggi sono cardini di una solida competitività. L’Italia, infatti, pur tra ombre e contraddizioni, è creatività, spirito d’intraprendenza, legame con i valori del mercato ben regolato, senso di comunità aperta e inclusiva. E rivela un capitale sociale di straordinario valore, in cui le radici nella tradizione, il genius loci della bellezza e del 'fare bene', s’incrociano con un forte spirito d’innovazione. Il nostro dovere, così, è 'Fare memoria', per usare parole care al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E dunque costruire futuro. Una sfida generale di cultura. In cui emerge un’altra serie di valori forti: la collaborazione pubblico-privato, la relazione tra imprese e strutture del Terzo settore, il senso profondo della comunità in cui la produttività (fondamentale per la crescita economica) si lega all’inclusione sociale e alla solidarietà.

Anche in questo l’Italia può raccontare esperienze utili come paradigma per il resto dell’Europa. Il contesto di riferimento ha radici nelle indicazioni della migliore letteratura economica internazionale. Il G20 discute di green finance. E il mondo dell’impresa italiana ascolta da tempo, con grande attenzione, i moniti di papa Francesco sull’economia giusta, civile, circolare, rispettosa dei diritti e delle esigenze delle persone. C’è un’altra pagina che vale la pena rileggere, per cercare nei 'classici' stimoli di riflessione. L’ha scritta John Maynard Keynes nel 1926, in The end of Laussez-Faire: «Penso che il capitalismo, se ben gestito, possa probabilmente essere reso più efficiente di qualunque sistema alternativo finora concepito nel perseguimento di obiettivi economici, ma penso anche che in sé e per sé esso sia per molti versi estremamente criticabile. Il nostro problema è quello di mettere in piedi un’organizzazione sociale che sia efficiente senza pregiudicare la nostra idea d’uno stile di vita soddisfacente». Un liberalismo da 'società aperta' con una solida sensibilità sociale. Proprio il Recovery Plan della Ue può esserne strumento essenziale. Facendo leva appunto sulla cultura d’impresa, intesa come rigore, capacità produttiva e flessibilità per affrontare le sfide generate da pandemia e recessione. Con uno sguardo lungo, come quello degli imprenditori che hanno fatto grande l’Italia, a partire da Adriano Olivetti («la fabbrica fatta per l’uomo e non l’uomo per la fabbrica » ), dall’Eni di Enrico Mattei, dalla Pirelli della responsabilità sociale dell’imprenditore e del welfare per i dipendenti, sino a una lunga serie di medie e piccole imprese. La nostra storia d’impresa ha ancora sapore d’attualità e visione del futuro.

Presidente di Museimpresa e vicepresidente di Assolombarda

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