lunedì 1 marzo 2021
Dall’assistenza notturna in ospedale alla semplice compagnia un ventaglio di servizi per anziani e ammalati. Sono oltre 400 i lavoratori già iscritti
La piattaforma dei caregivers approda a Bologna
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Anche a Bologna è sbarcata la piattaforma Ugo. 15 euro per un’ora di compagnia, 677 euro per l’accompagnamento a 10 sedute di chemioterapia, 550 euro per 5 assistenze notturne in ospedale: questi i servizi più richiesti, con relative tariffe, del portale inventato da quattro giovani nel 2019 ed approdato ora nel capoluogo felsineo, dove ha trovato un’accoglienza un po’ diversa rispetto alle altre città coperte dal servizio. Eppure, come racconta una delle fondatrici, Michela Conti, la svolta della startup è avvenuta proprio grazie all’incontro, due anni fa, con la Fondazione bolognese ANT. «Inizialmente, ci occupavamo di un servizio di accompagnamento a casa dei giovani che erano stati in discoteca fino a tardi» racconta Conti. Nel 2019 la partecipazione al bando Sprint4Ideas di Ant e la trasformazione in un portale di "personal caregivers". Un’idea che si inserisce in un contesto delicato, caratterizzato da un lato dalla mancanza di una legislazione nazionale riguardante i caregivers (solo l’Emilia-Romagna si è dotata di una legge apposita), dall’altro lacunoso dal punto di vista del riconoscimento professionale. Per lavorare in Ugo, infatti, non è richiesta una specifica formazione: c’è una Academy interna (online) che punta su competenze trasversali, di tipo sociale. Il personale viene regolarizzato come i rider delle piattaforme più note di food delivery. Ad oggi, impiega circa 400 lavoratori: scelti tramite colloquio online, ricevono il 75% di quanto paga l’utente e sono sottoposti a un sistema di feedback. Ugo aderisce anche a progetti sociali, sponsorizzati da partner e dedicati a coloro che non possono permettersi di fruire del servizio a pagamento: per queste attività vengono impiegati lavoratori con partita iva. A differenza dello scenario cui siamo abituati, in cui i caregivers sono per lo più donne, i lavoratori di Ugo sono prevalentemente «uomini, padri di famiglia, tra i 35 e i 50 anni. Sono disoccupati, che trovano nella piattaforma un impiego ben retribuito» li definisce Conti. Caratteristiche molto diverse anche da quelle del classico volontario delle associazioni che, storicamente, offrono gli stessi servizi. «Il Covid-19 ha fatto diminuire i volontari, quindi non c’è concorrenza», osserva la co-fondatrice di Ugo. La voce del Terzo Settore locale non si è fatta attendere: «Riconosco che alle associazioni mancano, spesso, la formazione e un’organizzazione più strutturata» osserva Francesco Pegreffi, medico e Presidente dell’Associazione Medici in Centro Interdisciplinare, che ha appena dato alle stampe la guida "La salute del caregiver".

«Bisognerebbe curare maggiormente l’aspetto formativo e tutelare il benessere del caregiver, non solo quello dell’assistito» osserva il medico. La novità non è sfuggita neppure all’occhio attento di Marco Lombardo, assessore al Lavoro del Comune di Bologna, che ha ideato la "Carta dei diritti fondamentali dei lavoratori digitali nel contesto urbano", il primo accordo metropolitano in Europa sui temi della gig economy. L’assessore ha già incontrato, in via informale, i fondatori: «Ho ribadito loro di essere a favore della promozione dell’economia digitale e della cultura del lavoro digitale, però è necessario portare avanti la battaglia per sfatare il mito delle neutralità degli algoritmi» spiega Lombardo. D’altra parte, «il compito della pubblica amministrazione è proprio quello di porre attenzione ai rischi, pur cogliendo le opportunità. Trattandosi di utenza fragile, dobbiamo vigilare maggiormente, la coprogettazione dei servizi sociali a Bologna è un elemento chiave» osserva Lombardo. Che non manca di sottolineare come i costi del servizio lo rendano fruibile solo da un’utenza "di serie A": «Il nostro ruolo è quello di appianare le disuguaglianze, in una logica collaborativa e non competitiva» dice. La richiesta di questo servizio, che pare in linea con le altre città, «è sfidante per la pubblica amministrazione e per il Terzo Settore, che, evidentemente, non sono in grado di rispondere in maniera adeguata al bisogno: il nostro sforzo sarà quello di tenere tutto insieme» dice Lombardo. E l’economista Stefano Zamagni è della stessa idea: «Troppo a lungo il Terzo Settore si è accontentato dei fondi pubblici. Se non vuole essere spazzato via da esperienze profit più tecnologiche, più in linea coi bisogni concreti delle persone, deve professionalizzarsi e adeguarsi ai tempi, puntando su competenze, creatività, affidabilità. Non deve "sedersi sugli allori": gli addetti devono diventare imprenditori, non solo operatori sociali» osserva Zamagni. Che rileva come questa novità debba interrogarci nell’ottica della giustizia sociale: «Se le risorse scarseggiano, non è possibile stare a guardare il fiorire delle diseguaglianze in ambito socio sanitario: il privato sociale non va messo da parte, ma stimolato e rafforzato di fronte alle nuove sfide».

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